Di mia mamma ho questo ricordo da stesa. È stesa sul letto d’ospedale, è stesa nella cassa di noce. È stata la cosa più complicata, scegliere il materiale. Non ne sapevamo niente e non sapevamo niente di tutto quello che sarebbe stato. La bara aperta tutta notte, veglia, preghiere, chiudere, trapano, viti, la morte. Ma mia mamma era stesa anche prima, era spesso a letto. Perché si svegliava molto presto e di pomeriggio riposava. Io a volte andavo a parlarle rimanendo in piedi, altre mi mettevo a bordo letto. Quell’estate andavamo al mare tutti i giorni, quando tornavamo lei era puoi giurarci stesa, oppure papà la spingeva in corridoio sulla sedia a rotelle, reclinati entrambi, spingi e muovi le gambe. Volevo tornare a Roma perché a Roma avrei rivisto L. Era stato lui ad accompagnarmi a casa, quell’estate: con mio padre l’accordo era di incontrarci per la staffetta, come altre volte, al casello autostradale. Solo che le altre volte c’erano persone conosciute, colleghi, amici d’infanzia, questo L mio padre non lo aveva proprio mai visto prima, ma al solito non fece domande. Non era P, questo gli fu evidente. P invece lo aveva visto una sola volta, mia madre più spesso, ma non lo aveva trovato simpatico. Diceva così, anche se il problema vero, per lei, era che non fosse bello. Bello, nella mia famiglia di persone laureate da almeno due generazioni, è anzitutto magro, poi di tratti regolari, meglio se alto, e P non era nessuna delle tre, con l’aggravante dei peli. Quando conobbi L fu la prima cosa che notai, la pelle glabra.  Dava lezioni di tennis, anche se non era il suo vero lavoro. La sera sentivo dolore al polso fino all’avambraccio. Era anestetizzante, quando non eccitante. Me lo avevano già detto da ragazzina che ero negata, ma mi piaceva l’idea del gonnellino, pure se mi stava pendulo, e del maestro studente, che avevo conosciuto alle macchinette della facoltà in cui ero, come si diceva, cultrice. Lui studiava per la seconda laurea, si innamorò di me, così disse, perché mi aveva vista sulle scale da sola a bere caffè,  gli occhi bassi.

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