Trecento anni fa, nel 1722, Johann Sebastian Bach compose un’opera che oggi viene considerata come uno dei massimi capolavori dell’arte musicale: quella raccolta di preludi e fughe – originata da finalità didattiche ma caratterizzata da altissimo esito artistico – intitolata Das Wohltemperierte Klavier. Fu iniziativa volta innanzitutto a mostrare la possibilità di comporre agevolmente in ogni tonalità attraverso l’innovativo temperamento equabile (che convenzionalmente eliminava, appunto temperandola, l’infinitesimale differenza tra semitoni di diversa ampiezza, suddividendo l’ottava in dodici intervalli identici); ma fu un’opera destinata a rimanere senza eguali, in quel susseguirsi di pagine – come una panoramica delle meravigliose possibilità della musica – con straordinaria varietà di stili e tecniche compositive, tale da far considerare Il clavicembalo ben temperato, come scrisse Karl Geiringer, «il fondamento della nostra letteratura per strumenti a tastiera».

L’impreciso riferimento al clavicembalo, nella traduzione del titolo, non deve indurre a dimenticare come il termine klavier non indichi una destinazione strumentale precisa, ma sia più generalmente riferibile a qualsiasi strumento a tastiera: che queste pagine siano eseguite sul clavicembalo oppure sul più intimo clavicordo – che uno dei figli di Bach assicurò essere strumento prediletto del padre – o infine sulle imponenti sonorità dell’organo ciò che importa è la musica, che continua a stupire al di là delle diatribe di una filologia talora avviluppata in problemi che l’autore stesso non si sarebbe posto. Notava anzi giustamente Glenn Gould, autore di pregevoli esecuzioni bachiane, che «questa splendida indifferenza a una sonorità specifica non è la minore fra le attrattive che sottolineano l’universalità di Bach».

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