Si potrebbe cominciare così: con una studentessa siriana che inneggia a Hitler e all’eliminazione totale degli ebrei dalla faccia della Terra come soluzione definitiva a un morbo che affligge l’umanità da troppo tempo. Mi ci vogliono alcuni secondi – alcuni, ma non troppi – per capire che non si tratta di una battuta, né tantomeno del delirio di un’isolata negazionista o del lamento estemporaneo di un’antisemita repressa. È la visione di un mondo, che appartiene a una grossa fetta di abitanti di questo pianeta e che riassume il pensiero condiviso da milioni di persone, persone che pensano esattamente l’opposto di quello che ho sempre sentito ripetere fin dall’infanzia, di quello che, più o meno consapevolmente, ho sempre ritenuto sacro patrimonio dell’intero genere umano, al di là di ogni distinzione di sesso, lingua, razza e religione. 

Con gli anni, mi sono abituato a sortite come questa, proferite con un certo sussiego nei confronti dell’europeo-occidentale-benpensante da me rappresentato in quel frangente; e dunque mi sono assuefatto al progressivo abbassamento della soglia dello stupore, senza riuscire però a eliminare del tutto il cosiddetto “effetto-sorpresa”, che si ripresenta all’incirca una volta ogni mese, talora con un’intensità tale da stordire le mie facoltà cognitive e suscitare un rigurgito di fastidio e disprezzo talmente forte da farmi augurare la morte per le persone che ho davanti. Ma prima un passo indietro. 

Prima – prima del settembre 2018, quando ho iniziato questa strana carriera nell’insegnamento dell’italiano per stranieri – la mia posizione verso l’estraneo era diversa, non troppo dissimile da quella che si può sentire espressa in un talk show da un politico di sinistra o da una giornalista di un quotidiano nazionale che gravita nel fantomatico campo progressista. Forse ingenuamente, questa condizione, priva di qualsiasi contatto o urto con l’altro, mi portava a credere che il sogno di tutta la popolazione mondiale fosse un futuro di stampo utopico e idilliaco, una comunità capace di convivere all’insegna del rispetto reciproco e della fratellanza, come nei versi immacolati di Imagine di John Lennon.

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