Cent’anni fa, il 6 aprile 1924, nasceva a Civitavecchia Eugenio Scalfari, una delle più importanti figure del giornalismo italiano. Snaporaz lo ricorda con un suo ritratto dal vero, schizzato da un grande autore contemporaneo.

Unico mio desiderio, finito il liceo, non lavorare. Intendevo: non lavorare con orari d’ufficio. Non ricordo che anno fosse, Maria Pia e le sue amiche giocavano a Bridge in casa di Nello Ajello. Anche a me fu possibile conoscerlo, era il vicedirettore dell’Espresso. Gli chiesi se sarebbe stato possibile collaborare. Mi offrì la correzione dei manoscritti, tre (o quattro) giorni a settimana. Finii in una stanza piuttosto appartata, non conoscevo nessuno e nessuno mi conobbe – se non, di scorcio, il direttore Livio Zanetti e un’anima buona, il feroce critico televisivo Sergio Saviane. Veniva a farmi compagnia ma a lungo andare (poco più di un mese) quelle pessime pagine che passavano sotto i miei occhi (le peggiori, quelle di Giorgio Manganelli) mi stancarono. Mi aveva stancato andare in via Po, entrare in quella stanza, prendere in mano la penna. Parlai con Ajello e gli dissi che preferivo andarmene. Aspetta, mi rispose: sta nascendo un nuovo giornale, Lettera finanziaria, ne sarà direttore Eugenio Scalfari, non più di un giorno a settimana.

Accettai. Non sapevo nulla di economia, ma l’occasione era ghiotta. Non dovevo fare altro che impaginare e tirare fuori i titoli, mi aiutava per telefono da Milano Giuseppe Turani, gli telefonavo ogni minuto, mi telefonava anche lui, mi dava dei consigli preziosi. Il luogo era lontano dal centro, era oltre la Tangenziale, credo sulla via Prenestina: uno stanzone, nel quale, ognuno alla sua scrivania, lavoravano quattro ragazze e, addosso al muro, ma al centro, l’impaginatore, rispetto a loro impegnato in un tutto diverso lavoro. Le quattro ragazze dovevano portare a compimento fotoromanzi, che cosa in particolare facessero non ho mai capito, con le ragazze parlavamo di ben altro che dei nostri impegni.

Una mattina ricevetti una telefonata, era la segretaria di Scalfari. Mi disse: in un titolo c’è un errore, lei sa che questo, di quattro pagine, è un giornale prezioso, va solo agli abbonati, tutte persone illustri

La faccenda durò quattro o cinque mesi. Una mattina ricevetti una telefonata, era la segretaria di Scalfari. Mi disse: in un titolo c’è un errore, lei sa che questo, di quattro pagine, è un giornale prezioso, va solo agli abbonati, tutte persone illustri. Ricordo il nome di Cuccia. Ne ignoravo l’importanza suprema (non sto scherzando). Mi scusai. Ma il martedì successivo, quando entrai nello stanzone trovai lui, il direttore, seduto sulla mia scrivania (non su una sedia, proprio sulla scrivania). Era vestito con un luminoso, abbagliante completo di velluto a coste, color giallo paglierino

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