Prima del terremoto L’Aquila non la conosceva nessuno. Quando al mare i bambini già abbronzati mi chiedevano da dove venivo, mi ricordavo di aggiungere vicino Roma, vicino Pescara e di sottolineare “è il capoluogo dell’Abruzzo”.

L’Aquila non la conosceva nessuno ed era lontana da tutto il resto d’Italia quando ero bambina, così lontana che schiacciando il naso sul finestrino della Skoda dopo un pomeriggio a Roma rimpiangevo di non aver chiesto a mio cugino quale fosse la loro bandiera, perché L’Aquila e Roma non potevano avere la stessa bandiera, non potevano essere la stessa cosa, la stessa casa.

Prima del terremoto le case dei vecchi nei paesi sembravano proprio case di paese, grazie al terremoto le vecchie che stavano nei paesi potevano finalmente usare la lavastoviglie, che era nel pacchetto elettrodomestici delle C.A.S.E. di Berlusconi. Alcune vecchie, però non tutte: c’era qualcuna che della lavastoviglie di Berlusconi non riusciva a fidarsi.

Mio nonno aveva la lavastoviglie di Berlusconi in casa, ma non voleva usarla per lavare le pentole di Berlusconi e i piatti di Berlusconi, soprattutto non voleva assolutamente usare le posate di Berlusconi, che rimanevano nel pensile di Berlusconi, mentre nella lavastoviglie mettevamo il pancarrè, la pasta, i biscotti e le istruzioni della lavastoviglie restavano nella bustina trasparente di plastica, forse anche quella era di Berlusconi. Mio nonno aveva paura del momento in cui Berlusconi sarebbe arrivato a riprendersi tutto, e a chiedere il conto dell’usura di tutte quelle cose nuove che lui, prima del terremoto, non avrebbe mai nemmeno voluto possedere.

Prima del terremoto la gente moriva lo stesso, ma grazie al terremoto la gente che moriva iniziava a diventare importante. Prima del terremoto la gente moriva per motivi molto stupidi, per esempio malattie o incidenti stradali, invece grazie al terremoto la morte finalmente aveva un senso, era una questione ineluttabile per davvero e penso che senza terremoto tutte le morti della mia famiglia sarebbero state completamente insensate. Il terremoto ci ha dato pure questo, il senso di morire.

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L’attesa, 2013, L’Aquila

Grazie al terremoto mia nonna ha avuto un bel funerale. Mio nonno ha detto proprio questo quando siamo riusciti a partecipare ai funerali di Stato delle vittime del terremoto, i posti erano limitati ma per fortuna noi non siamo una famiglia numerosa, siamo riusciti ad entrare tutti, eravamo in prima fila. “Proprio un bel funerale”, ha detto mio nonno, “Anna non ci avrebbe mai creduto”. Siamo usciti dalla caserma della Guardia di Finanza e nonno continuava a fare no con la testa, a lui un funerale così non sarebbe mai toccato, lo sapeva, non c’erano nemmeno più le chiese in cui fare i funerali, e infatti il suo è stato in una chiesa di legno, che aveva lo stesso nome della chiesa in cui si era sposato nel ’56, ma grazie al terremoto la chiesa sembrava un fienile trentino, niente a che vedere con lo sfarzo del funerale di nonna (ci sono ancora i video su Youtube, per fortuna mio nonno è morto prima di sapere il numero delle visualizzazioni dei funerali di nonna).

Grazie al terremoto hanno iniziato a chiedermi se ero proprio dell’Aquila, dicevano “ma laquila-laquila” e io dicevo sì, laquila-laquila e loro piegando un po’ la testa di lato e stringendo gli occhi, pronti a dimostrarmi pietà, mi chiedevano se avevo avuto danni e io dicevo di sì, perché tutti avevamo avuto danni, ma va bene i danni, ma almeno nessun morto. E io dicevo eh no, anche un morto. Ma era una casa vecchia, almeno? E io dicevo no, era una casa popolare. 

Grazie al terremoto durante una fiera, era ancora il 2009 e facevo la hostess per lo zafferano, le persone si fermavano allo stand per chiedermi se ero dell’aquila-laquila, se lo zafferano era dell’aquila-laquila, se era vero che vivevo in hotel e quando ho detto che vivevo in hotel qualcuno ha perso la lucidità e mi ha urlato che eravamo solo terroni che rubavano soldi, se ero davvero terremotata allora perché facevo la hostess e vivevo in hotel? Ma se non ci fosse stato il terremoto quelle persone non si sarebbero proprio fermate a chiedere se lo zafferano era dell’aquila-laquila, e sarei stata venti a giorni a spiegare “vicino Roma, è il Capoluogo dell’Abruzzo”, invece li ho passati a dire che erano mesi che c’erano scosse e che tutti cercavano di tranquillizzarci prima del 6 aprile e intanto vendevo lo zafferano, i pistilli, la polvere, l’amaro allo zafferano. Se non ci fosse stato il terremoto non avrei avuto niente da raccontare.

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L’attesa, 2013, L’Aquila

Grazie al terremoto, quindi, abbiamo vissuto in hotel per mesi, e mangiato con nonno tutti i giorni al ristorante, questo senza terremoto non sarebbe mai potuto accadere. Vivevamo in hotel e non avevamo la lavatrice, ci vergognavamo a chiedere di poter usare quella dell’hotel e ci lavavamo i vestiti nel lavandino del bagno. Quando ci siamo trasferiti nella c.a.s.a. di Berlusconi c’era una lavatrice nuova, le C.A.S.E. erano state assegnate da un software che si chiamava Cristallo e io e mia sorella abbiamo dormito un anno sul divano del soggiorno con la tv davanti. Nemmeno questo senza terremoto sarebbe mai potuto succedere, perché a casa mia la televisione in camera non si era mai usata.

Nello stesso periodo mio nonno addirittura finì sul giornale per la seconda volta, perché secondo alcuni le assegnazioni delle C.A.S.E. erano state fatte per raccomandazione, anche se ad assegnarle era stato Cristallo, e secondo Cristallo io, mia sorella, mia madre e mio nonno potevamo vivere in una casa con una camera, mia madre e mio nonno nello stesso letto, io e mia sorella sul divano. Mia madre parlò con chiunque perché avevamo bisogno di una casa diversa, portandosi dietro tutta la documentazione delle malattie e dei disagi che le malattie procuravano a mio nonno, che, mentre vagavamo in macchina, avevo 19 anni, lui 82, mi diceva che voleva solo spararsi un colpo in testa e che “tutto questo schifo, chicchetta, io non lo volevo vedere”, ma la pistola non ce l’aveva e nelle case di Berlusconi non ci si poteva impiccare. Dopo pranzo si distendeva sul divano di Berlusconi e incrociava le mani sul petto e mi diceva: “vedi, io starò così nella bara vicino ad Anna e starò bene”. E io mi giravo dall’altra parte per non guardarlo e piangere per i fatti miei, ma anche questo succedeva grazie al terremoto, altrimenti io queste cose di mio nonno non le avrei mai sapute.

Quando mia madre riuscì a ottenere due case diverse e addirittura vicine, perché nonno per fortuna aveva l’invalidità, qualcuno controllò le tabelle di assegnazione iniziali, che erano state pubblicate ovunque, e uscì un articolo sulle raccomandazioni che mio nonno sicuramente aveva ricevuto. Grazie al terremoto mio nonno nel 2009 finì sul giornale per la seconda volta (la prima era stata subito dopo il 6 aprile: c’è una sua foto in pigiama mentre si fa la barba in tendopoli e l’articolo è uscito per una rivista svizzera e parla di Anna).

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L’attesa, 2013, L’Aquila

Grazie al terremoto, inoltre, non ho pagato le tasse universitarie per tutta la durata della laurea triennale. E per un po’ non ho pagato nemmeno i biglietti dell’autobus, e questo sul medio termine ha sicuramente fatto la differenza, anche se l’hotel era sotto al Gran Sasso e se in c.a.s.a. ho dormito per dei mesi sul divano.

Prima del terremoto L’Aquila esisteva solo per sé stessa, e io esistevo solo nella mia disperazione personale di adolescente e immaginavo che avrei scritto qualcosa, a un certo punto, ma non sapevo cosa. Grazie al terremoto, pensavo, avevo finalmente l’argomento massimo di cui scrivere, perché era quella la congiunzione tra L’Aquila e l’universo, più forte della Perdonanza e dei Parchi Nazionali. Ma grazie al terremoto non ho mai iniziato a scrivere, perché la tragedia era diventata una storia di tutti, e le storie personali mi sembravano così uguali che non valeva nemmeno più la pena raccontarle. 

Per il terremoto abbiamo pagato tutti: è stato un investimento, ci siamo consacrati come vittime – soprattutto agli occhi degli altri e solo per un tempo limitato, ma almeno siamo esistiti, siamo stati terremotati, e le nostre vite insignificanti importavano a tutti, veniva Obama in Piazza Duomo e salutava Stefania Pezzopane, ci facevano promesse, ci riprendevano, Bruno Vespa una volta ha addirittura preso un peluche dalle macerie di casa di mia nonna, dicendo che poteva appartenere a un bambino (forse morto), invece era un pupazzo di mia madre, ci fece ridere la storia del bambino mai esistito e del peluche ritrovato. 

Prima del terremoto eravamo ragazzini che mettevano video su YouTube, grazie al terremoto i nostri video a Piazza Palazzo girati con i telefonini nei giorni precedenti al 6 aprile, quando noi avevamo le simulazioni della terza prova dell’Esame di Stato e L’Aquila simulava le scosse che ci avrebbero portato fino a quella definitiva, hanno cominciato a girare, e dopo dieci anni il terremoto era ancora l’unico topic che riuscivo a giocarmi sui social per crescere, unica esperienza che mi identificava come aquilana. Ora che di anni ne sono passati quindici non la penso più così.

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L’attesa, 2013, L’Aquila

Grazie al terremoto L’Aquila è diventata una città e noi siamo diventati tutti vittime della natura, dello Stato, della Storia fino a che non sono arrivate altre vittime di altri terremoti, altre tragedie, alluvioni, guerre, pandemie, ma nel 2009 la percezione era che L’Aquila esisteva nel dolore unica al mondo, avevo 18 anni e trovavo L’Aquila sulla Rai, sulla Mediaset, nei romanzi, sulle bocche delle persone, giravo per Roma a giugno del 2009 e tutti sapevano da dove venivo, cosa era successo, potevo addirittura dire il nome della via dove mia nonna moriva e tutti annuivano, sì, avevano presente, allora noi eravamo esistiti. 

Dopo qualche anno L’Aquila ha perso tutti i privilegi da vittima che era riuscita a guadagnarsi, la frustrazione della ricostruzione l’hanno vissuta soprattutto quelli che non sapevano nemmeno a quale regione appartenessimo: “Ma insomma, avete ricostruito? Avete smesso di comportarvi da vittime? In Giappone i terremoti non distruggono niente, in Emilia le persone non sono rimaste a piangere per anni in attesa dello Stato, insomma, la smettete?”. Grazie al terremoto le persone hanno iniziato ad arrabbiarsi con noi, perché avevano regalato i vestiti alla croce rossa, avevano mandato un sms al numero della protezione civile, avevano visto servizi televisivi strazianti e noi ci ostinavamo, invece, a restare terremotati, a dire che avevamo ancora paura, a confermare che vivere pensando al terremoto era un cambiamento irrimediabile, grazie al terremoto pure i bambini nati dopo il 2009 percepiscono che vivere pensando al terremoto è diverso da vivere e basta, anche se il terremoto non lo hanno nemmeno sentito, non se lo ricordavano, il ricordo lo hanno ereditato. 

Grazie al terremoto ora L’Aquila diventa ogni giorno più bella, grazie al terremoto ora su Booking compare l’avviso che la maggior parte delle strutture sembra siano prenotate, e che dobbiamo sbrigarci se ci serve una stanza a L’Aquila in agosto, adesso c’è addirittura il turismo e per fortuna ci sono tantissimi airbnb in centro e pure questo è successo grazie al terremoto, perché le case sono state ristrutturate e ora possono diventare come le case dei centri delle città vere: punto di convergenza di turisti da tutto il mondo, un quaderno ospiti all’ingresso su cui scrivono “grazie per la colazione genuina, Aquila tornerà a volare”, ma non sanno che L’Aquila non è mai stata un uccello, un rapace, L’Aquila era acqua come l’acqua delle 99 cannelle, che scorre e basta.

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L’attesa, 2013, L’Aquila