Il restauro di Ultimo mondo cannibale (1977), in programma alla 80ma mostra del cinema di Venezia, e l’uscita in sala di Cannibal Holocaust (1980) restaurato in 4K sono il punto di arrivo della rivalutazione di Ruggero Deodato (1939-2022), campione di un cinema estremo e crudele, impresentabile nei salotti buoni, renitente (ma fino a un certo punto) alla museificazione, fieramente anti-intellettuale. È un percorso di lunga data che ha coinvolto vari nomi della cinefilia internazionale, da Eli Roth a Fabrice du Welz, passando per quell’aspirante Tarantino che è Nicolas Winding Refn. E nell’epoca post-postmoderna, in cui anything goes, anche nei festival più prestigiosi c’è spazio per film su cui a lungo ha aleggiato (con maggiore pertinenza rispetto a generi più agevolmente rivalutabili) una fama di prodotti deteriori, sadici, morbosi, bassamente spettacolari – una fama aumentata dalle numerose censure. Nel febbraio 1980 Leonardo Autera scrisse sul «Corriere della sera», che Cannibal Holocaust superava «ogni limite dell’abominevole»; e in seguito applaudì un sequestro motivato non tanto dall’oscenità, come succedeva allora, ma dalla violenza delle immagini.

Nessun film cannibalico, ovviamente, ha mai ripreso veri cannibali, anche se nessuno ha mai raccontato come venissero convinti indios locali ad andare in giro nudi addentando frattaglie bovine o di altri animali

Come sempre succede in questi casi, la rivalutazione è un fenomeno significativo dal punto di vista dei consumi culturali, ma balbettante dal punto di vista critico. Le argomentazioni dei fan di Deodato in genere sono puramente quantitative: tanto più le immagini sono orripilanti, tanto più il film è bello e importante.

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