A volte, osservando i nuovi fenomeni musicali mainstream in Italia, sorge un dubbio: forse ci siamo proiettati indietro nel tempo e non ce ne siamo accorti? Se dal punto di vista musicale questo appare evidente (sia che si recuperi la storia della musica italiana fino quasi a plagiarla, sia che ci si rifaccia al “roccketto” da saggio di fine anno o che si giochi con tendenze all’estero già mangiate e ricacate), lo è ancor più sul piano del costume, che da sempre va a braccetto con le sette note. I nuovi pargoli del music biz che si autoproclamano trasgressivi, fluidi, “genderbenderati”, in realtà ripropongono cose nella nostra penisola sempre esistite, cose di cui certi artisti si sono fatti portavoce senza tanti riflettori addosso. Pensiamo a Ivan Cattaneo, al quale i “compagni” lanciavano oggetti contundenti sul palco per la sua ambiguità, a Renato Zero, regolarmente pestato dai bulli in periferia per i suoi travestimenti, ad Alfredo Cohen, esperto di marchette pederaste nei cinemini, alla Rettore paladina dell’androginia, all’amazzone Giuni Russo, entrambe costrette a tirare fuori le unghie per farsi strada nel mercato. 

Se una rivoluzione oggi c’è, è quella di darsi da soli dell’“innovatore”, del “diverso”, fino a che il pubblico non ci creda davvero. Non è certo una rivoluzione proletaria, ma borghese. Senza dubbio oggi si fa spettacolo su tutto, che sia in modo genuino o meno non ha importanza, e che si sfruttino le battaglie di qualcun altro per specularci, nemmeno. Per dei Måneskin in calze a rete, o un Achille Lauro con tutine sbrilluccicanti e baci omo, o un Rosa Chemical feticista dei piedi, c’è il contraltare delle loro canzoni, che sembrano prive di un reale messaggio. L’asino cade proprio sul songwriting, che invece dovrebbe essere la prima cosa sulla quale concentrarsi: troviamo formule già masticate, luoghi comuni “contro”, ostentazioni di “limiti da superare” che in realtà neanche esistono. Una suora sarebbe pronta a rischiare più di loro fuori o dentro il convento. 

A proposito di songwriting, nel vasto repertorio italiano troviamo una canzone che, riguardo a libertà sessuale, ambiguità, sovvertimento dei canoni di genere, resta insuperabile: I maschi di Gianna Nannini, anno 1987.

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