Jane Birkin se n’è andata lo scorso 16 luglio, nel settantaseiesimo anno della sua vita (ne avrebbe compiuti settantasette il 14 dicembre). Mi si chiede di farne un ritratto e aderisco volentieri all’invito. Un ritratto d’attrice, pur con tutte le difficoltà che questo comporta, essendo stata certamente Jane Birkin anche attrice, con un bilancio di poco inferiore ai cento film, dunque un corpus imponente, ma trattandosi di personaggio e personalità diffusiva di sé a più livelli e in vari campi, dell’arte così come della vita. Arte e vita che nel suo caso si intrecciano e si sovrappongono, come le serpi sul caduceo di Mercurio. E passo a spiegare.

Nelle lacrime versate dai “coccodrilli” per la sua morte, era difficile trovare qualcuno che si spingesse oltre la menzione della performance in Blow Up (1966) di Antonioni: Jane appariva in due sequenze, spartite con Gillian Hills, la bionda e la mora, rispettivamente. Entrambe sono due modelline e corrono appresso a David Hammings, che, nel momento clou, le denuda a forza per una sessione fotografica. Jane resta a seno scoperto: tempo cronometrato totale, sullo schermo, poco meno di quattro minuti. L’altro titolo ricorrente in tutti i De profundis recitati ricordando Jane è stato Je t’aime moi non plus, il film eros-tanatologico diretto da Serge Gainsbourg e uscito nel 1976, in cui l’attrice stava agli antipodi della ragazzina londinese spogliata con divertita violenza da Hemmings tra fogli di carta svolazzanti. Qui, invece, danzava lungo la linea di confine tra lo yin e lo yang, era femmina ma si prestava all’equivoco con il maschio (meglio: con il fanciullo), tanto da mandare in cortocircuito i sensi di Joe Dallesandro, omosessuale, che, al dunque, scopriva di non riuscire a possederla se non sodomizzandola. Je t’aime moi non plus oggi viene tendenzialmente conosciuto e citato solo di riverbero, come eco dell’omonima canzone-orgasmo che Jane e Gainsbourg avevano inciso e portato a un dilagante successo mondiale nel 1969, con buona pace di scomuniche, censure, ostracizzazioni, esorcismi e roghi in effigie di cui venne fatta oggetto da parte della Chiesa e non solo («Il Vaticano è stato il migliore ufficio stampa che io abbia mai avuto», commentò Gainsbourg).    

L’androginia di Jane Birkin ha a che fare con la bellezza degli angeli, che notoriamente non hanno sesso, ma si rivestono di una forma inafferrabile e non specificata, che viene prima di ogni altra bellezza e la contiene

Però, dopo Antonioni e Gainsbourg, è in effetti difficile focalizzare qualche altra prova della Birkin, nell’ambito della Settima arte,

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