Filtro che simula le lentiggini, canzone di tendenza, libro che compare nell’inquadratura senza che se ne veda la copertina: è il gancio che farà in modo che il TikTok venga guardato fino alla fine. Decine di segnapagina colorati e la frase «libro che mi ha distrutta» in rosa bordeaux fucsia. Il libro, anzi, il romanzo, può essere qualcosa che rientra in un immaginario letterario che comprende Il fabbricante di lacrime di Erin Doom (intervistata anche da Fazio qualche mese fa), La verità è che non ti odio abbastanza di Felicia Kinsley e i classici, mettendoci in mezzo anche Una vita come tante di Hanya Yanagihara; la lettrice è una BookToker che sta utilizzando un format per parlare di un libro, o, per essere più precisi, per avere un’occasione di parlare di come si sente. Questo è il BookTok, un nuovo (nuovo?) modo di fare bookblogging che si inserisce armoniosamente nella storia del videoblogging da YouTube ai giorni nostri, e che è il modo in cui persone più o meno famose con competenze più o meno specifiche parlano di libri oggi su TikTok.
Nonostante gli allarmi per la prossima estinzione di quelle bestie chiamate lettori, la nicchia di chi legge (o anche semplicemente di chi compra libri), tra gadget estivi, bookclub su Twitch e Patreon – con veri e propri gruppi di supporto che si estendono su Telegram per tollerare la drammaticità di certe opere –, liste di libri consigliati salvate come post su Instagram e contenuti ad hoc su ogni piattaforma possibile sta, invece, alla grande. Come nella “bolla” dei boomer che dicono di essere di sinistra e su Facebook vedono solo contenuti di altri boomer che a loro volta dicono di essere di sinistra e vivono nel loro universo di agiati boomer di sinistra che non vedono il disastro che li circonda – a meno di assaggiare la vita per venticinque minuti e cavarne fuori un editoriale da mandare qua e là –, anche nella mia bolla le cose intorno ai libri vanno alla grande e forse non sono mai andate bene come ora, visto che siamo riusciti a trasformare anche la lettura in una sfida social, con un elenco o un numero condiviso a gennaio e poi ripreso a dicembre per fare i conti di quanto si è letto con documentazione fotovideo allegata.
Negli anni Venti del Duemila piazzare un gadget il cui prezzo raramente è superiore ai trenta euro è un gioco che dovrebbe riuscire facile
Sia chiaro, qui c’è un punto di vista ed è ben definito: è quello di chi ha impostato la sua presenza online su tre argomenti principali (come mi sento, i libri che leggo, il mio cane) e che occasionalmente riceve messaggi da follower che chiedono cosa leggere, ovvero quale libro comprare; è una situazione che mette in dubbio gli anni di studio e le mie capacità comunicative perché la maggior parte delle volte non solo ignoro la reale identità dell’utente, ma non riesco neanche a tirare fuori indizi che mi aiutino, come per esempio l’anno di nascita, la lingua madre e il corpus di opere tra cui pescare è tanto vasto quanto insignificante. Allora rispondo con un libro che è piaciuto a me, tenendo conto dell’unica cosa rilevante in questi casi: mi segue. Io sono l’unica cosa che abbiamo in comune e su questo devo basare il consiglio.
La questione del bookinfluencing a oggi è stata malamente affrontata da diversi punti di vista (diciamo poco centrata) e spesso ignorata da chi invece avrebbe potuto capire che negli anni Venti del Duemila piazzare un gadget il cui prezzo raramente è superiore ai trenta euro è un gioco che dovrebbe riuscire facile, e invece niente: i libri e la letteratura vanno idolatrati, bisogna dire che è difficile, che solo i critici possono parlarne, che invece di stare sotto l’ombrellone con un giallo bisogna massacrarsi l’inconscio con Dostoevskij, soffrire le pene dell’inferno con 45 gradi a mezzogiorno e, come se non bastasse, rovinarsi le ferie con tutte le sfighe che capitano ai personaggi di Verga, perché la letteratura è questo: astrusa, dolorosa, per pochi, classista e deve necessariamente abitare in un luogo molto lontano rispetto alla spinta capitalistica prima ed estetizzante poi della rappresentazione e vendita dei libri sui social. C’è un problema alla base della questione che riguarda la promozione attraverso i social di prodotti editoriali: credere che i book influencer (che sono degli influencer veri e propri, cioè costruiscono attorno al loro personaggio una community basata su sentimenti molto positivi o molto negativi, a cui propongono scelte di acquisti filtrate in base a collaborazioni che accettano, scelte personali, progetti collettivi e creano contenuti ad hoc) siano dei contemporanei critici letterari che con i loro gusti da lettori medi vogliono soppiantare la critica accademica. E dall’altra parte si commette l’errore di aspettarsi che la critica letteraria debba avvicinarsi a strategie di comunicazione più da social e meno da aula universitaria per fare presa su un pubblico sempre più distratto e apparire, almeno, sexy. Se è però apparentemente chiaro cosa facciano i critici letterari, c’è ancora qualcuno che finge di non capire cosa facciano, invece, i book influencer – e gli influencer in generale.
I book influencer aggiungono valore extraletterario al libro che propongono, creano una specie di fascetta social, e io perciò vado in libreria a comprare un libro: non perché il libro è bello, ma perché quel libro lo ha letto e lo ha apprezzato una persona che vedo online tutti i giorni, di cui conosco gli animali domestici e le piante, di cui ho fiducia perché mi è diventata familiare. I book influencer sono una delle tante strade attraverso cui chi non ha fatto della letteratura il suo mestiere può ancora avvicinarsi ai libri senza un approccio da scuola media e scuola superiore – perché quando nell’orizzonte letterario dell’individuo esistono solo Uno, nessuno e centomila e La coscienza di Zeno non significa che la scuola di una volta funzionava, significa che sono stati dati dei testi da leggere senza dare strumenti ulteriori, e si è rimasti lì, ai libri «obbligatori».
Come alcuni avranno certamente notato, nelle librerie di almeno un paio di franchising è da qualche mese spuntato l’angolo del #BookTok
L’ultima piattaforma in ordine di arrivo in cui si è creata la nicchia dei libri (è successo con YouTube, con Netlog, con Facebook, con Instagram) è TikTok, luogo popolato prevalentemente da giovanissimi, fascia d’età tredici-ventiquattro, dove tredici è il limite minimo per potersi iscrivere – da considerarsi perciò come dato falsato. La nicchia è circoscritta dall’hashtag #BookTok (#BookTokItalia per restare nella bolla) e come alcuni avranno certamente notato, nelle librerie di almeno un paio di franchising è da qualche mese spuntato l’angolo del #BookTok in cui vengono raccolti tutti quei libri andati virali sul famigerato e pericoloso social dei balletti, novità registrata anche da Casadei nel suo articolo uscito su «Leparoleelecose». Scrive Casadei concentrandosi sul canone: «Insomma, sembrerebbe che non si possa affermare, banalmente, che i “nativi digitali” non sono affatto lettori, mentre invece si deve accettare che non sono propensi a leggere quanto viene proposto da voci autoritative di vecchio stampo (la scuola, la critica, persino le case editrici), seguendo un loro canone alternativo».
La storia del #Booktok è la stessa storia di altri hashtag attorno a cui negli anni si sono radunate community di utenti; la stragrande maggioranza dei booktoker e di quelli che guardano i video dei booktoker è giovane, anzi, giovanissima (eccezioni dovute – si tengano presenti le nicchie delle nicchie), ma questo dato, che sembra assolutamente non rilevante, è in realtà il nucleo del problema e il fulcro della questione: i libri su TikTok li leggono gli adolescenti. E gli adolescenti, oggi, a meno che non vengano da famiglie nelle cui case sono presenti biblioteche che coprono intere pareti, di quelle che abbiamo visto alle spalle degli opinionisti di tutte le reti televisive durante il Covid, come hanno imparato a saltare la corda sui social, a giocare online sui social, a fare i pancake sui social imparano anche ad amare la lettura sui social e lo fanno nell’assenza più totale di criterio (aspettiamo qualche anno, o solo qualche mese, e quando l’editoria si sarà organizzata in base ai flussi della viralità si potrà tracciare precisamente cosa e perché stiano leggendo gli adolescenti). TikTok ha permesso l’abbassarsi dell’età media dei book influencer, perciò se su Instagram possiamo contare sull’esperienza e la professionalità di @Tegamini, @Petuniaollister e @marco_cant su TikTok i consigli di lettura più seguiti li elargiscono giovani adulti in formazione come @libridifranci e @magsbook. Proprio considerando la giovanissima età di questi creator (che spesso come link esterno scritto nella bio hanno una lista dei desideri su Amazon tutta fantasy e romance), fa un certo effetto notare che qualche settimana fa è andato virale su Twitter il fotogramma di un TikTok di una ragazza diciannovenne in cui veniva mostrato Novecento di Baricco con la solita musica giusta, la mano curata, e la scritta: «Perché nessuno parla di questo libro?». Ilarità generale, disdegno, offese, shitstorm, ma come è possibile che non sappia cosa sia stato Novecento? Ma noi Novecento lo abbiamo letto e sentito nominare fino alla nausea, ne abbiamo tutti almeno due copie, una per comodino, Novecento è il fondamento della letteratura contemporanea, ma chi è questa ignorantella che parla di libri su TikTok senza saperne niente di libri? È, appunto, una ragazzina, e se mi chiedo come mai una ragazzina nata dopo il 2001 riesca a prendere in mano Novecento oggi non mi so rispondere: forse i due libri dell’Economica Feltrinelli a 9 euro e 90? Forse perché è breve, perché la copertina è azzurra? Perché visto in qualche altro TikTok?
I libri su TikTok valgono esclusivamente per le emozioni che fanno provare
L’evidenza più lampante è che se nella Instagram Era i libri venivano sapientemente valorizzati a partire dalla copertina (giù altre risate da parte della critica letteraria), i libri su TikTok valgono esclusivamente per le emozioni che fanno provare: trend che sono andati molto bene erano costruiti su affermazioni del tipo «Tre libri che mi hanno devastata», «Il libro che mi ha fatto versare tutte le mie lacrime», quindi è abbastanza ovvio che a contare non sia propriamente il libro, ma l’effetto istantaneo che il libro riesce a ottenere sul lettore, niente di diverso da quello che viene venduto in autogrill da leggere “tutto d’un fiato”, alla fine.
E il mandato che il lettore concede al suo book influencer di elezione non si basa quasi mai esclusivamente sui gusti letterari dell’influencer, ma sulla personalità di chi con i suoi contenuti lo intrattiene mentre è in autobus, seduto sul divano, in attesa di ritirare una raccomandata alle Poste.
La sviolinata, la lettura obbligata, l’assenza preoccupante di stroncature, i complimenti al limite del viscido sui quotidiani più importanti non sono in realtà critica letteraria, ma marchette opache
Ma non c’è solo questo: considerando che la critica letteraria e il bookinfluencing non sono su nessun piano concorrenti, bisogna riconoscere un presupposto di trasparenza a chi influenza sui libri per lavoro, e viene inquadrato sicuramente come più vicino a un influencer che a un critico letterario: il libro è un prodotto da vendere e per venderlo, quando c’è una collaborazione con una casa editrice o con un’agenzia di comunicazione, bisogna mettere online dei contenuti in cui sia espressamente dichiarato (cioè deve essere scritto: #adv) che la promozione è un lavoro, e che il content creator per quel lavoro viene pagato. Il tag che rende i follower consapevoli va usato anche in situazioni meno esplicite, per esempio, quando il libro viene regalato a una persona che ha un certo ascendente sul suo pubblico è necessario dichiarare il #gift, pena segnalazione da parte della polizia di Twitter alle autorità competenti – tempi duri per gli influencer sbadati. Lo scudo di protezione del tag che evidenzia la natura di marchetta non viene apposto a certi giudizi entusiasti su libri tutto sommato mediocri, elaborati dal mondo della critica letteraria: la sviolinata, la lettura obbligata, l’assenza preoccupante di stroncature, i complimenti al limite del viscido sui quotidiani più importanti non sono in realtà critica letteraria, ma marchette opache, e non sono corredate da nessun bollino che identifichi il parere orientato e il giudizio controllato di chi vuole che leggiamo qualcosa “perché è giusto” e mai “perché è bello leggere”. Almeno su questo i book influencer sono sempre stati onesti, senza mai esagerare sul valore letterario di un oggetto di cui ora ci si riappropria con mille segnapagina colorati (cosa avrà mai detto di eterno Zia Felicia Kinglsey?) e quando non sono book influencer che hanno l’obiettivo di vendere, sono Creator che vogliono mostrare di aver letto. È tutto qui. Non c’è critica letteraria, non c’è pedagogia, non c’è divulgazione, non c’è la vera-letteratura. C’è solo la voglia di leggere un libro qualsiasi e, magari, poterne parlare con qualcuno. E va bene così.