Nella Roma di oggi, dove regna sovrana un’aria di bonaccia parastatale, Castellitto junior sceglie di raccontare la borghesia e la crisi dei figli dei borghesi. Ma il paradosso di questo film, Enea, che si vuole simbolo di una generazione, è in realtà il suo essere testamentario. 

Testamentario, prima di tutto, per la scolastica della sceneggiatura, ossia le ammuffite regole che tanto hanno innervato la creazione di opere di fiction per il cinema e la televisione, attraverso le varie scuole, i vari corsi e mentori, formando scrittori di prodotti identici. Qui, invece, mentre la fabula è riassumibile in poco – due improbabili ricchi fresconi che si annoiano e per questo si danno alla malavita – l’intreccio diventa una slabbrata sovrapposizione di piani che la bulimia del regista vuole esaurire nella visione, mai plausibile, di un mondo di finti nemici, finte classi sociali, finti languori familiari e familistici.

Testamentario anche per l’innesco della commedia degli ultimi anni, che è sempre il solito: la contrapposizione immaginifica tra un Sud tribale ed esotico, dionisiaco e violento, e un Nord apollineo e pensoso. Nel film il Sud è l’attrazione per il crimine: diventare criminali e spacciare per fare festa e affrontare la noia. Il Nord, Roma Nord, è invece un ombelico familistico ricco di scenette con i soliti stilemi e i soliti personaggi, ad esempio i filippini, visti in mille commedie per piattaforma di produzione Colorado, o i pranzi e le cene di famiglia in cui i nodi esistenziali vengono al pettine, ma senza che ci sia mai una posta in gioco: il vero trauma, il vero non detto. Almeno un incesto! No. Solo la decenza dell’ipocrisia borghese, che, se fosse credibile, sarebbe in realtà un balsamo in questa caciara. Il tutto è sedato ulteriormente dai volti fregnoni e narcisi di Castellitto padre e figlio e fratello. Ma c’è anche lo zio in una scena. Il più credibile.

Una borghesia, se così vogliamo chiamarla, che proprio nei figli trova un avvicinamento vertiginoso al coatto antico, con il tatuaggetto tribale, con il pugilato e il krav maga, per simulare usi e costumi guerrieri e darsi un’identità

Testamentario, quindi, anche rispetto all’idea di borghesia a Roma. Che nel film è una proiezione simbolica di una classe sociale e di un mondo solo pensati.

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