L’espressione contrita, il già famigerato «errore di comunicazione» (tutto è comunicazione, dicono), la strategica assenza di trucco, l’intervista all’armocromista di Elly Schlein che ci spiega la scelta di quell’outfit grigio funereo: il messaggio di scuse – per così dire – di Chiara Ferragni è già assurto nel canone dei videomessaggi all’italiana, su nell’Olimpo a due passi dal «Paese che amo» di berlusconiana memoria, ma il «Pandoro-gate» non accenna a placarsi: la madre di tutti gli influencer ha lucrato su una causa benefica in favore dei bambini malati, o almeno così sostiene l’Agcm, e la sua immagine potrebbe non risollevarsi dal colpo infertole dalla vicenda.

Si insinua, a questo punto, la domanda più leziosa di questi anni, e tuttavia adatta al contesto: è la fine di un’epoca? O, detta in modo meno scontato: dalla crisi epidemiologica del ferragnismo può scaturire una pandemia letale per il mondo dell’influencing? D’altronde molti imperi della storia hanno iniziato ad andare incontro alla loro fine già ben prima della capitolazione definitiva delle loro strutture di comando.

Sto forse suggerendo un parallelo tra la fine dell’impero romano e un’ipotetica fine del regno dei Ferragnez? Certo che lo sto facendo:

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