Confesso che ho sempre sognato di apostrofare un proustiano di lungo corso – a bruciapelo, a tradimento – per domandare lumi su «un episodio della Recherche»… che mi stavo inventando là per là. 

Purtroppo, non ho mai conosciuto proustiani di lungo corso che dessero l’idea di poter cadere in un simile tranello. Italianisti da bullare con un falso Petrarca: a bizzeffe. I proustiani no, i proustiani non li freghi. Eppure, quando pronunci una frase come ­«da qualche parte in Proust» hai sempre la sensazione che valga esattamente come «da qualche parte». Così, nell’universo. Da qualche parte in Proust, da qualche parte nell’universo.

Che, devo dire, è un’ottima premessa per accostare l’ultimo libro di Guido Vitiello intitolato La lettura felice. Conversazioni con Marcel Proust sull’arte di leggere (ilSaggiatore). Finalmente un proustiano di medio corso. Iniziato al culto ma non ancora radicalizzato. Un proustiano «tardivo», di quelli che hanno letto diciottenni Un amore di Swann e hanno mollato lì l’arrampicata della Recherche. Salvo concedersi un lunghissimo interludio di letture prima di tornare – per così dire – a casa. Ora, proiettare Proust su una mappa che è quella sconfinata del nostro sentire di lettori ci insegna due faccende non da poco, in un tempo variamente afflitto dal demone della distrazione (lettura vs distrazione è il tema generale del libro). La prima la conoscevo già. Anche la lettura è una questione di stile. Esistono stili di lettura, che non sono meno affascinanti da osservare e comprendere degli stili di scrittura. Per quanto già Proust: «Io ho cercato invece di dimostrare […] che la lettura non può essere assimilata a una conversazione, foss’anche con il più saggio degli uomini; che la differenza essenziale tra un libro e un amico sta non già nella loro maggiore o minore saggezza, bensì nella maniera di comunicare con loro».

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