«Il problema oggi non è l’energia nucleare ma il cuore dell’uomo»: la frase di Albert Einstein, a distanza di molte lune, è ancora attualissima. Un tempo gli artisti si mostravano all’altezza del problema, soprattutto nella musica. Oggi no, è come se prendere posizione fosse un discorso scomodo. O forse è pure peggio: gli artisti sono in realtà confusi, non sanno come prendere in mano la patata bollente e, per paura di bruciarsi mani e pubblico, la raffreddano continuamente perdendo la propria potenza sovversiva. Gli artisti pop/rock, da parte loro, sembrano essersi stancati di dire sempre le stesse cose. Forse sono rimasti spiazzati dal fatto di trovarsi improvvisamente catapultati negli anni Ottanta, quando si era toccato il culmine di tensione nucleare tra le due superpotenze. L’evidente cortocircuito è che se negli Ottanta praticamente ogni segmento di spartito era teso a sondare la paranoia atomica, partendo dal pop più generalista passando per la minimal synth, la new wave, e poi con l’industrial che si rotolava nell’argomento come un maiale nel suo truogolo, adesso sembra che nessuno sappia più che pesci pigliare, come se fosse già stato detto tutto.

Tanta era la necessità collettiva di esorcizzare la paura che la Guerra fredda finì anche nel musical: nello specifico in una pietra miliare del genere, uscito come album ufficiale nel 1984, uno dei periodi più difficili nella storia della diplomazia di guerra. Stiamo parlando di Chess

Tanta era la necessità collettiva di esorcizzare la paura che la Guerra fredda finì anche nel musical: nello specifico in una pietra miliare del genere, uscito come album ufficiale nel 1984, uno dei periodi più difficili nella storia della diplomazia di guerra. Stiamo parlando di Chess: letteralmente Scacchi in italiano. Ecco, di Chess ci ricordiamo ben poco, almeno a certe latitudini. Quello che ci rimane lo abbiamo assorbito decontestualizzandolo: parliamo di One night in Bangkok, grandissima hit che conoscono pure i sassi e che appunto è tratta da una scena del musical ed è cantata da uno dei suoi protagonisti, il poliedrico Murray Head.

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