«Benché da molti sia considerata una bella donna, mia madre puzza»: così l’incipit, abbastanza sconcertante, di Il fuoco che ti porti dentro (Marsilio, 2024); e solo poche pagine più avanti: «La detesto da sempre, da quando la mia vita ha cominciato a staccarsi dalla sua». E ancora: «Neanche l’aborro, nel verbo aborrire c’è un’idea di fiera opposizione della quale il mediocre orrore che lei mi suscita non è degno». Franchini entra nel genere del memoir scardinandone immediatamente i paradigmi codificati: non solo Angela, la madre oggetto del racconto, appare tutt’altro che “illustre”, ma nemmeno sembrerebbe – il libro affolla esempi su esempi – testimone credibile del suo tempo e del mondo: «Il dubbio che gli esseri umani e gli accadimenti del mondo possano anche essere diversi da come lei se li è immaginati – è chiarito fin dalle prime pagine – non l’ha mai sfiorata». 

In effetti, tutta la prima parte del libro è un susseguirsi di scene che dimostrano l’isolamento sociale e spirituale di Angela: orfana di padre, con una cultura liceale che tuttavia, non più coltivata, è diventata ormai «un peso buono solo a intombare lo spirito», senza amiche – perché, esattamente come sua madre, è convinta che essa sia nient’altro che «una forma di dipendenza, un indebolimento della personalità» –, Angela è una monade, un animale braccato, ferito e rabbioso, incapace di relazione e votato alla guerra perpetua con tutto ciò che lo circonda. Sono, queste, pagine che ricordano la parte privata dell’Abusivo, con le interminabili liti tra la madre e la nonna («il Locusto»); e tuttavia, se là la descrizione scivolava immediatamente nel grottesco e l’impressione era quella di assistere a un mostruoso teatrino domestico, qui, senza il contraltare tragico e vero della vicenda Siani, il comico risulta immediatamente attenuato e l’atmosfera è di ferina desolazione. Se, come Franchini afferma, nell’Abusivo la descrizione della quotidiana violenza familiare rappresentava in miniatura la ferocia della criminalità organizzata, qui Angela e il suo mondo – sempre sbagliato, un mondo in cui i valori «sono espressi in forma riprovevole o sono disvalori veri e propri» – si fanno emblema del Sud tutto e della sua storia. In questa prima parte gli interventi metanarrativi sono rari – e la cosa certo stupisce in un autore a vocazione riflessiva come Franchini – ma la relazione agisce sottotraccia ed esplode, in fine, in una dichiarazione esplicita: «Questo senso di inferiorità […] che si rovescia nel suo contrario, è lo stesso di Angela, è lo stesso di tutto il Sud».

Angela, il suo mondo e il Sud sono “l’avversario” – ciò che il narratore deve rifiutare perché è parte di lui –, sono tutto ciò che il giovane narratore sa di non voler diventare

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