Dal 26 al 29 gennaio 2024 la Biennale di Venezia ha programmato l’opera Prometeo. Tragedia dell’ascolto di Luigi Nono, che fu prodotta nel 1984 dalla Biennale Musica nella Chiesa di San Lorenzo, dove sarà nuovamente eseguita con un riallestimento che punta a restituire il clima di quella leggendaria “prima”. Si tratta di un progetto speciale dell’Archivio Storico della Biennale di Venezia in collaborazione con la Fondazione Archivio Luigi Nono e TBA21–Academy creato per celebrare il centenario della nascita del grande compositore veneziano, che cade proprio il 29 gennaio.

Il Prometeo fu un evento memorabile che vide coinvolti nella creazione e nell’esecuzione, oltre a Luigi Nono, Massimo Cacciari per il testo, Claudio Abbado alla direzione dell’orchestra, Emilio Vedova per le luci e Renzo Piano per la creazione dell’arca in legno lamellare che funse da cassa armonica e spazio scenico, con la regia del suono di Hans Peter Haller e Alvise Vidolin al live electronics.

Nono volle per il Prometeo uno spazio architettonico unico dove «pubblico, scena, azione, spazi, invenzioni tecniche e testi sarebbero stati continuamente mobili, mai statici o frontali come la pratica tradizionale» e chiese a Renzo Piano «lo spazio per tante cantorie, le quattro orchestre, i solisti delle voci e degli strumenti e le isole e con la possibilità di piazzare microfoni e altoparlanti in vari punti, verso l’alto e verso il basso, in lungo e in largo: cioè uno spazio spaziante». E proprio questo spazio hanno re-immaginato Antonello Pocetti e Antonino Viola, per il ritorno a casa di Prometeo

Così, di questo appuntamento abbiamo voluto parlare con Marco Angius – tra i più importanti direttori d’orchestra della sua generazione, ma anche intellettuale anomalo, colto e acuto, autore di saggi raffinatissimi come Riverberazioni. Suoni e controsuoni del Novecento, edito dal Poligrafo –, visto che è stato il direttore e concertatore dell’esecuzione veneziana di questo capolavoro della cultura musicale novecentesca.

G.G. – La prima domanda che ti faccio è banale, quanto doverosa, in qualche senso: cosa resta oggigiorno del Prometeo di Luigi Nono?

M.A. – Da un punto musicale resta l’idea fondamentale di mettere il pubblico dentro al suono, così che si può dire che non assiste a un concerto, a una rappresentazione, ma ci sta immerso dentro. Questa è la prima intuizione che ha a che fare con il rapporto tra musica e spazio: Prometeo è un lavoro in cui il suono è strettamente collegato allo spazio che lo ospita. Un altro aspetto senz’altro fondamentale è il collegamento tra antico e moderno, che Nono crea, ad esempio, inglobando una pratica antica come quella tuttora in uso a San Marco, in cui i coristi sono situati a diverse altezze. La spazialità: il tema del rapporto tra ascoltatore e fenomeno sonoro resta il lascito più importante e attuale.

G.G. – Per un direttore come te, ormai riconosciuto in Italia come l’interprete di riferimento della musica contemporanea ma a proprio agio anche nel repertorio classico, in che modo si distingue l’approccio esecutivo di quest’ultimo da quello di un’opera come Prometeo?

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