La nota di cronaca è all’incirca questa: lo scorso 17 maggio, presso la Mercedes-Benz Arena di Berlino, va in scena un concerto di Roger Waters. Nulla di singolare, considerando che nel cuore pulsante della capitale tedesca lo storico leader dei Pink Floyd si era esibito nel luglio del 1990, dando vita a uno tra i più memorabili live show della storia. All’epoca, in una Germania ancora degente, dove le ferite della Storia andavano sanate simultaneamente alle ferite della città stessa, per la celebrazione della caduta del Muro parteciparono al concerto di Waters (The Wall) artisti come Bryan Adams, Van Morrison, Sinead O’Connor, The Band, Joni Mitchell, Cyndi Lauper, Ute Lemper e gli Scorpions. L’evento ebbe un impatto emotivo di straordinaria portata nella coscienza collettiva dei berlinesi e del mondo intero: in Potsdamer Platz si riversò una folla di trecentocinquantamila persone, mentre lo spettacolo veniva trasmesso in diretta in più di cinquanta paesi. 

Ma torniamo alla nota di cronaca, l’ultimo live nella stessa Berlino. Waters si esibisce e, attenendosi al cerimoniale che nel corso di decenni di carriera ha sublimato la sua ricerca, si presenta al pubblico con la stessa estetica di sempre: cappotto nero di pelle, lungo fino a carezzare i piedi, occhiali scuri a goccia e piccoli – ma grondanti di significato –, feticci e richiami a oscure dittature, come la fascia rossa al braccio che raffigura, anziché la svastica, due martelli incrociati.

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