Ho trascorso poco meno di sei mesi nel Nord dell’Inghilterra, passando una sera dopo l’altra a inventarmi degli impegni per poter rimanere a casa da sola a scrivere. Ero partita per lavorare e in effetti il grosso delle mie giornate si componeva unicamente di lavoro da svolgere in solitudine in biblioteca. Gli inglesi parlano poco e di rado lo fanno nei giorni feriali, mentre sono sobri, ragione per cui spesso trascorrevo giorni interi senza che mi capitasse di rivolgere la parola a un altro essere umano. Ma per qualche motivo la mia dimensione serale, in cui, esattamente come durante le ore diurne, ero seduta da sola a guardare una pagina bianca, mi restituiva una serenità che non avevo mai sperimentato. Passavo moltissimo tempo in perfetto silenzio senza sentirmi sola, con la sensazione che l’anonimato fosse un ventaglio di possibilità da non sprecare e con alcuni pensieri fissi: finché nessuno mi conosce posso essere la persona che voglio; finché nessuno mi vede sono infallibile e perfetta; finché le parole sono l’unica cosa che riempie il vuoto, posso tenere l’ansia sotto controllo. Questo bisogno di solitudine aveva investito tutti gli aspetti della mia vita personale, rivelandomi una verità poco lusinghiera: finché la mia immagine di me stessa rimaneva intatta, non avevo alcun bisogno di contatto fisico. Gli altri, tutto sommato, non erano così interessanti. L’idea di intrattenere e affascinare uno sconosciuto abbastanza da convincerlo a toccare il mio corpo in una maniera che potesse essere soddisfacente anche per me mi sembrava una fatica tutto sommato evitabile. Il sesso, nella sua fisicità e immediatezza, così inscindibile da goffaggine, nevrosi e piccoli riti noiosi, non mi sembrava avere nulla di sexy. Quello che succedeva nella mia testa era solo mio, non aveva bisogno di confronti e di riscontri con il reale, non poteva ferirmi e questo mi bastava. Una domenica ero entrata in una libreria del centro e avevo comprato I love Dick, pescando un volume in offerta con una brutta copertina colorata e pensando che sfogliare una storia d’amore mi avrebbe fatto venire voglia di ricominciare a vedere persone, trovando qualcosa di buono negli scambi interpersonali, e di uscire dalla mia mente. Vai a toccare l’erba, dicono dalle mie parti a chi sembra perdere il contatto con la realtà. Avevo scelto il libro sbagliato. I love Dick 

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