1. I pezzi in ritmo di foxtrot (il cosiddetto swing) non devono superare il 20% del repertorio delle orchestre da accompagnamento e da ballo;

2. In questo cosiddetto repertorio jazz, deve essere data priorità a pezzi in tonalità maggiore e i cui testi esprimano gioia di vivere piuttosto che testi tristemente ebrei;

3. Per quanto riguarda il tempo, si dia preferenza a composizioni vivaci piuttosto che a quelle lente cosiddette blues; comunque, il ritmo non deve eccedere un certo grado di allegro, commisurato con il senso di disciplina e di moderazione ariano. In nessun caso saranno tollerati eccessi nel tempo (cosiddetto hot jazz) o negli assoli della batteria;

4. Le composizioni cosiddette jazz possono contenere al massimo il 10% di ritmo sincopato; il resto deve consistere di movimenti legati naturali e privi di caratteristiche di isterica ritmica inversa, caratteristica delle razze barbariche e portatrice di oscuri istinti alieni al popolo germanico;

5. L’uso di strumenti alieni allo spirito germanico (cosiddetti campanacci, flexatone, spazzole, ecc…) è strettamente vietato, e ugualmente lo sono tutte le sordine che trasformano il nobile suono dei legni e degli ottoni in un verso ebreo-massonico (i cosiddetti wa-wa, cappello, ecc…);

6. Sono inoltre proibiti gli assoli di batteria più lunghi di mezza battuta in un ritmo di quattro quarti (eccetto nelle marce di stile militare);

7. Il contrabbasso deve essere suonato solo con l’arco nelle composizioni di cosiddetto jazz;

8. Il pizzicato degli archi è proibito, poiché danneggia gli strumenti e svilisce la musicalità ariana; se il cosiddetto effetto pizzicato è assolutamente necessario per il carattere della composizione, saranno presi accorgimenti particolari perché la corda non tocchi la sordina, il che è conseguentemente vietato;

9. Ai musicisti è ugualmente vietato lanciarsi in improvvisazioni vocali (il cosiddetto scat);

10. A tutte le orchestrine e le orchestre da ballo è fatto avviso di evitare l’uso dei sassofoni di tutte le tonalità e sostituirle con il violoncello, la viola o comunque con un altro strumento popolare.

Guido Giannuzzi,Ghetto swingers,Eric Vogel,Martin Roman,Coco Schumann,Fritz Weiss

Sembra uno scherzo, ma queste sono le regole che un Gauleiter – l’ufficiale a capo di un distretto amministrativo – impose alle orchestre jazz durante l’occupazione della Cecoslovacchia, riportate dallo scrittore Josef Škvorecký che, da aspirante sassofonista sotto il Terzo Reich, sperimentò sulla propria pelle le manifestazioni di un controllo sistematico, narrandole poi nel suo racconto Il sax basso, pubblicato in Italia da Adelphi.

Era stato durante la Repubblica di Weimar che il jazz aveva conquistato la Germania, diventando un simbolo di quegli anni ruggenti. Ma dopo la presa di potere di Hitler nel 1933, il jazz fu una musica additata dal regime come fremdländisch (straniera) e perciò doveva essere estirpata. Ci fu, è vero, una fase più liberale nel 1936, in occasione delle Olimpiadi di Berlino, ma giusto per cercare di convincere l’Europa che il nazismo non era quel regime illiberale che si diceva fosse, fuori dalla Germania. Tuttavia, col successo dello swing (il nuovo stile jazz definito come tale in America proprio a metà degli anni Trenta) si affermò anche il fenomeno della cosiddetta Swingjugend (Gioventù Swing), che parodiava già dal nome i corrispettivi movimenti giovanili nazisti, prima tra tutte la Hitlerjugend. Di spirito chiaramente goliardico, i suoi adepti si salutavano con un sonoro Swing Heil!, evidente caricatura del Sieg Heil! hitleriano. I vertici del partito nazista e della polizia cominciarono così a istituire numerosi decreti per proibire lo swing, il jazz e le forme di danza connesse a questo tipo di musiche. Tuttavia, questi provvedimenti ebbero un effetto modesto, sia perché il jazz era ormai entrato a fare parte dello stile di vita dei più giovani, sia perché spesso erano gli stessi funzionari nazisti locali, che avrebbero dovuto fare rispettare i divieti, ad avere simpatia per questo stile musicale.

Quando, con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, il sistema dei campi di concentramento si diffuse in tutta Europa, seguendo l’avanzata delle armate naziste verso est, l’internamento di musicisti di ogni formazione portò alla creazione di orchestre e anche di jazz band. Numerosi resoconti di testimoni storici o sopravvissuti attestano che il jazz era una musica molto diffusa all’interno dei luoghi di detenzione dei prigionieri: da quelli cui erano destinati i condannati ai lavori forzati a quelli per civili stranieri, ai campi di internamento francesi durante Vichy, al campo olandese di Westerbork, ai ghetti polacchi di Łódź e Varsavia. Fino ai campi di concentramento, che facevano da preludio a quelli di sterminio: come Terezín (Theresienstadt in tedesco), il ghetto principale per il jazz e non solo, dove furono imprigionati dal 1941 al 1944 migliaia di musicisti, artisti, poeti, letterati. La cittadella fortificata, costruita presso Praga da Giuseppe II tra il 1780 e il 1790 e così chiamata in onore dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria, fu trasformata nel 1941 in una “fabbrica d’arte” che lavorava giorno e notte, si può dire come in nessun’altra città europea: concerti, opere liriche, spettacoli teatrali e di cabaret, mostre d’arte, film, riviste, conferenze, lezioni. Tutto grazie alle migliaia di artisti boemi, moravi, moldavi, austriaci che la macchina nazista aveva concentrato in un unico luogo dove, sotto gli occhi della Croce Rossa internazionale, arrivavano nuovi strumenti musicali e si organizzavano orchestre di ogni genere, visto che in quel campo c’erano alcuni dei migliori musicisti europei.

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Il trombettista ceco Eric Vogel, giunto a Terezín, cercò di costituire una jazz band e ne fece regolare richiesta l’8 gennaio 1943 al Freizeitgestaltung, il comitato per il tempo libero del campo, indicando i partecipanti e il nome del gruppo: i Ghetto Swingers. C’era, in questa scelta, una buona dose di ironia, passata senz’altro inosservata agli occhi dei funzionari nazisti che diedero il loro beneplacito alla costituzione del complesso. Poco dopo la sua fondazione, il gruppo si arricchì di illustri musicisti: uno dei più grandi clarinettisti jazz europei, Bedřich (Fritz) Weiss, il pianista tedesco Martin Roman, che aveva suonato anche con Louis Armstrong, e il chitarrista Heinz Jakob (Coco) Schumann – che però suonò da batterista nel gruppo perché chi l’aveva preceduto in quel ruolo era stato mandato ad Auschwitz anzitempo. I Ghetto Swingers misero su un repertorio di standard jazz alternati a proprie composizioni e arrangiamenti, esibendosi regolarmente nella Kaffeehaus, il padiglione in legno appositamente costruito per abbellire il ghetto e inaugurato nel dicembre del 1942. Questo locale – dove, tra le bevande disponibili, mancava proprio il caffè – offriva un aspetto ben lontano da quello dei suoi omonimi viennesi, anche se era il luogo più ambito dai prigionieri per vivere l’illusione di una vita libera. E il jazz, con la sua carica di vitalità e allegria, era la musica migliore per accompagnare questa illusione.

Quando giunsero a Terezín, la tanto attesa commissione della Croce Rossa internazionale prima e la delegazione internazionale poi (il 23 giugno 1944) ebbero modo di visitare un campo di concentramento che era stato tirato a lucido per l’occasione. Approfittando di questo lavoro di ripulitura, Goebbels escogitò anche la produzione di un documentario propagandistico intitolato Der Führer schenkt den Juden eine Stadt (Il Führer dona una città agli ebrei), diretto dal regista olandese Kurt Gerron, anch’egli ospite di Terezín. Scartate le persone magre o malate, tutti gli altri abitanti del ghetto furono utilizzati come comparse: bambine riprese mentre mangiavano in abbondanza, uomini e donne – cui venne ordinato di mostrarsi allegri – protagonisti di scene girate in laboratori di sartoria e falegnameria, e perfino una partita di calcio organizzata con finti giocatori e un pubblico ancora più finto, che faceva il tifo. I brani dei Ghetto Swingers furono l’ossatura della colonna sonora del documentario, e tra essi la celebre canzone yiddish Bei Mir Bist Du Shein, di cui Martin Roman realizzò un arrangiamento “in stile americano”. Poco tempo dopo la fine delle riprese, i musicisti presero la strada per Auschwitz e molti di essi furono mandati alle camere a gas appena scesi dai treni, come toccò in sorte a Fritz Weiss. Anche Coco Schumann finì ad Auschwitz dove, come ricordò lui stesso, fu «costretto a intonare la melodia di La paloma mentre le SS accompagnavano le colonne di detenuti verso le camere a gas». Quando il 27 gennaio 1945 le truppe sovietiche liberarono il campo di Auschwitz, dei Ghetto Swingers solo Eric Vogel, Martin Roman e Coco Schumann erano vivi.

Nel dopoguerra, Vogel e Roman si stabilirono in America: il primo, intraprendendo un’attività di designer in una società ingegneristica ma soprattutto collaborando come critico jazz con importanti riviste come Down Beat e Metronome; il secondo invece, continuò a suonare, dapprima nei locali di New York, per poi proseguire nei resort fuori città. Coco Schumann, dopo un breve periodo in Australia, tornò a Berlino dove ebbe modo di collaborare con artisti come Ella Fitzgerald. Nel 1997 pubblicò la sua autobiografia Der Ghetto-Swinger – Eine Jazzlegende erzählt (Il musicista swing del ghetto – una leggenda del jazz racconta), curata da Christian Graeff e Michaela Haas, continuando a esibirsi col suo Coco Schumann Quartett fino a quasi novant’anni. E (forse) grazie alla musica, tutti e tre sono morti a un’età considerevole: ultraottantenni Vogel e Roman, addirittura novantatreenne Schumann, nel 2018.

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