Di recente ho tenuto un seminario a Forlì sulla scrittura epistolare. Ho chiesto ai partecipanti (studenti universitari) quanti di loro avessero scritto almeno una lettera nell’ultimo anno. Non un messaggino, non una missiva di carattere pratico o informativo: una vera e propria lettera privata. Moltissime braccia si sono alzate. E negli ultimi due anni? Quasi tutti. 

Ma non appartenevano al passato, le lettere, insieme al loro macchinoso apparato di minute, buste, francobolli e cassette postali?

Per comporre la loro lettera, buona parte di quelle mani sollevate si erano mosse probabilmente su una tastiera. Ma il loro gesto tecnico era comunque lo stesso che si compie da almeno due millenni e mezzo. 

“Lesis scrive questa lettera a Xenocle e a sua madre perché in nessun modo dimentichino che egli sta morendo nella fonderia… Io sono in balia di un uomo totalmente malvagio; io perisco sotto la sua frusta, sono schiavizzato e maltrattato sempre di più, sempre di più”: Atene, V secolo a.C.. Armando Petrucci, che apre il suo bellissimo Scrivere lettere con la missiva di Lesis, lo chiude denunciando la crisi di questa forma di scrittura. A suo dire il tradizionale schema testuale viene ormai ignorato, le formule di cortesia sono tralasciate o irrise, il testo risulta irrimediabilmente impoverito.

Eppure la lettera privata, come il libro secondo Umberto Eco, è un’invenzione perfetta e non migliorabile. Alcuni suoi caratteri formali sono venuti a mancare, o più spesso vengono radicalmente reinventati (uno dei sintomi della rivoluzione espressiva del romanticismo), ma Fabio Magro osserva che “le coordinate fondamentali del genere… giungono a noi pressoché intatte”. Apriamo ancora, di norma, le lettere con un nome, unito a un aggettivo che in tutte le lingue occidentali indica sia affetto che valore economico, a ricordarci che la lettera congiunge la sfera emotiva a quella pragmatica. Intrecciamo repliche e notizie, annunciamo la conclusione, firmiamo, aggiungiamo un poscritto. 

La lettera conserva queste strutture inalterate per un motivo molto semplice: rispondono a una necessità reale, poggiano sicure sulla propria indiscutibile efficacia nella gestione di un canale comunicativo primario, forse il fondamento stesso della comunicazione. Servono (in modo eccellente) a far sapere i fatti propri.

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