Sale piene, recensioni entusiaste, endorsement illustri, incassi record. C’è ancora domani, esordio alla regia di Paola Cortellesi, è ufficialmente uno dei film italiani di maggior successo degli ultimi anni, un balsamo per la claudicante industria del cinema nostrano. Un clamore che dimostra ancora una volta quanto il tema della violenza di genere sia sentito, quanto si abbia voglia di sottolinearne l’urgenza (urgenza resa ancora più stringente considerati i recenti, tragici, fatti di cronaca). 

Il film, come ormai in molti sanno, racconta il percorso di – ahinoi relativa – emancipazione di una donna, Delia, inserita in un contesto storico-sociale, quello del secondo dopoguerra, non esattamente sensibile alle problematiche sulla parità.  Dal punto di vista socio-politico il messaggio e i suoi effetti arrivano forti e chiari: la condizione femminile del passato si riflette su quella presente e, se da un lato le donne negli ultimi decenni hanno ottenuto importanti conquiste, è innegabile che ci sia ancora tanto lavoro da fare quanto a leggi, parità e soprattutto mentalità. 

C’è però un aspetto laterale, di matrice culturale, che sembra passato quasi inosservato. Non ha a che fare con l’opera in sé, ma con il modo in cui il pubblico tende a fruirla, a metabolizzarne contenuti e valori. 

Facciamo un piccolo preambolo.

C’è ancora domani s’inscrive in un solco importante, quello della commedia italiana “d’autore”. Registi del calibro di Scola, Monicelli, Salce, Wertmüller, Loy e interpreti come Tognazzi, Gassman, Valeri, Manfredi, Vitti, Sordi, affrontavano temi attuali e anche molto controversi suscitando risate dal retrogusto amaro. Cortellesi, passando dietro la macchina da presa, cerca di proseguire la strada dei maestri ma sa bene che il pubblico del 2023 è molto diverso da quello di cinquant’anni fa. 

Questa distinzione netta tra positivi e negativi, la mancanza di scale di grigio psicologiche, sembra riflettere alcune tendenze del pubblico di oggi

Laddove i tipici personaggi di un Alberto Sordi – pensiamo a film come Il medico della mutua o Il moralista – pescavano tra il peggio dell’italianità media, borghesucci meschini in cui lo spettatore quasi si vergognava di riconoscersi, la Delia di C’è ancora domani è disegnata fin da subito come eroina positiva:

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