Considerata la loro reiterazione, e in molti casi il loro successo, viene da pensare che le operazioni di “ripescaggio” cinematografico, come i remake di vecchi cult o i reboot di personaggi iconici, non nascano solo per una questione di moda o per fare più facilmente cassa, ma nascondano motivazioni più profonde, di natura culturale. È come se ci fosse l’esigenza da parte delle vecchie generazioni di tramandare alle nuove gli eroi della propria infanzia, un qualcosa a metà strada fra un’eredità forzata e un tentativo di perpetuazione del proprio patrimonio. C’è però anche una curiosità da parte dei giovani, una strana attrazione verso quel passato costantemente riproposto e osannato. Tutto ciò passa attraverso un’ovvia operazione di riscrittura a uso e consumo di una determinata generazione.  

Willy Wonka è, in tal senso, un esempio interessante. L’eccentrico e imprevedibile pasticciere creato da Roald Dahl nel 1964 con il romanzo La fabbrica di cioccolato ha avuto tre incarnazioni cinematografiche: quella di Gene Wilder – Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato, regia di Mel Stuart, 1971 –, quella di Johnny Depp – La fabbrica di cioccolato, regia di Tim Burton, 2005 – e infine Timothée Chalamet nel recentissimo Wonka, uscito a dicembre 2023 per la regia di Paul King. 1964, 1971, 2005, 2023: si può dire che ogni generazione di ragazzi abbia avuto il suo Willy Wonka. Come quando si sovrascrive più volte su un nastro, appare evidente che rifacimento dopo rifacimento, il personaggio abbia finito per perdere qualcosa, forse proprio i suoi elementi più caratterizzanti e di conseguenza più amati. Procediamo per ordine.

L’approccio di Roald Dahl nello scrivere la Fabbrica di cioccolato (e tutte le sue opere per ragazzi) è dichiaratamente antididattico e antididascalico

Il romanzo di Roald Dahl racconta la storia di un ragazzo poverissimo, Charlie, e della sua visita alla fabbrica di cioccolato Wonka insieme ad altri quattro viziatissimi bambini, tutti vincitori di un concorso. Il proprietario Willy Wonka introduce gli ospiti ai suoi segreti con fare entusiasta ed esagitato, mostrandosi però inaspettatamente cinico quando i quattro ragazzini maleducati vengono uno a uno “tolti di mezzo” dalla fabbrica stessa, che quasi li punisce per il loro comportamento. Il lettore osserva Wonka con gli occhi buoni e sognanti di Charlie, e ciò che vede è un uomo imprevedibile, ora simpatico, ora lunatico, a tratti anche inquietante. L’approccio di Roald Dahl nello scrivere la Fabbrica di cioccolato (e tutte le sue opere per ragazzi) è dichiaratamente antididattico e antididascalico. Come autore egli amava calarsi nei panni dei piccoli lettori, lasciandosi attrarre, proprio come loro, anche dagli aspetti meno rassicuranti e più grotteschi della realtà.

Il Wonka incarnato da Gene Wilder invece,

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