Perché la lettera è considerata un genere marginale, eccezionale? Per esempio perché è l’unico in cui il destinatario non è generico: anzi è esclusivo. Perfino la tenzone poetica e la lirica amorosa sono pensate, di norma, per una ricezione ben più ampia del solo antagonista, del solo amato. La missiva privata invece si rivolge a un lettore ben preciso, a una lettrice e a lei sola. 

Certo, uno scrittore affermato (o presuntuoso) può immaginare che le sue lettere verranno un giorno raccolte e pubblicate… Ma su questa potenziale fantasia di divulgazione, diciamo orizzontale, che porterebbe a scrivere lettere curatissime e anodine, prevale di solito la tendenza verticale alla chiacchierata fuori dai denti, alla confidenza intima o addirittura impubblicabile. (Ecco di nuovo la questione della censura, così centrale per ogni riflessione sull’epistolografia.) La lettera in fondo è proprio questo: il corrispettivo scritto di un colloquio diretto. Di qui espressioni come “voglio parlarti di…”, “scusami il silenzio…”, “bello sentire la tua voce…” Il suo punto di fuga è costantemente l’interlocutore. Un poema o un romanzo terminano con una conclusione lungamente preparata; una lettera si arresta ritualmente con le scuse per l’impossibilità (tempo, impegni, altre lettere!) di proseguire oltre. L’affabulazione si vorrebbe infinita. E occorre giustificarsi, perché il destinatario ha tutto il diritto di esigerla.

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