Giudicata con i criteri della pura intelligenza, la cattiveria è sempre un segno di pochezza. Esiste un’intelligenza degli esseri umani che richiede doti non meno ardue di quelle necessarie ai matematici e ai fisici, anche se di tutt’altro tipo; ed esiste pure un’intelligenza morale alla quale servono sottigliezza, duttilità, sensibilità, capacità di mettere in relazione le cose finite e particolari con le leggi o i concetti generali: in entrambi i casi, insomma, ci vuole l’esercizio faticoso del pensiero. I cattivi fanno sempre fare alla bontà la figura della scema, e a chi si pone qualche scrupolo quella dei moralisti. Si sarebbe buoni per debolezza del cuore, per pigrizia («ma sì, dai…»), per difetto, appunto, di intelligenza; i dubbi e il tentativo di comportarsi come si deve sono viltà e mancanza di coglioni. I cattivi finiscono sempre per darsi arie da macho, le cattive indulgono in pose da virago.

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