Ci sono anniversari pigri, annunciati, sui quali ci si butta con spirito istituzionale e con rassegnazione. Quando non ci sono, talvolta li si inventa. E ci sono altri anniversari che diventano occasioni simboliche, di riepilogo a volte sconcertante. È il caso di Vittorio De Seta, di cui quest’anno cade una doppia ricorrenza: il centenario della nascita, e mezzo secolo da uno dei suoi lavori più importanti, Diario di un maestro. De Seta era un aristocratico nato a Palermo, ma di famiglia calabrese, autore di documentari e di cinque lungometraggi di finzione. In tutta la sua lunga vita (novant’anni) solo cinque suoi film sono approdati nelle sale: Banditi a Orgosolo (1960), L’invitata (1969), Un uomo a metà (1965), la versione cinematografica di Diario di un maestro (1973) e Lettere dal Sahara (2004).

A fine anni Novanta lo si riscoprì, insieme ad altri (da Cecilia Mangini ad Alberto Grifi, diversissimi tra loro) come maestro di una generazione di documentaristi che stavano facendo il miglior cinema italiano. L’Italia non aveva una tradizione di documentario creativo e quei pochi nomi, ancora in vita, si rivelarono precursori preziosi. Nel primo numero di una rivista presto abortita che si chiamava «Brancaleone», quasi una ventina d’anni fa, scegliemmo di identificare proprio nel documentario ciò che avrebbe salvato il cinema italiano (cosa che in un certo senso è avvenuta), e partivamo col viatico di una lunga intervista a De Seta in occasione del suo ultimo film – un’opera, per la verità, incerta anche per ragioni produttive, sull’odissea di un migrante attraverso il nostro paese –, ma le cose che il vecchio regista diceva, sulla libertà creativa, il ribellarsi alla centralità dei copioni che allora parevano forieri di un nuovo midcult, le possibilità aperte dal digitale, erano belle e importanti.

I capolavori di De Seta sono probabilmente i suoi documentari degli anni Cinquanta, brevi film a colori che testimoniavano un mondo in via di sparizione, soprattutto in Sicilia

I capolavori di De Seta sono probabilmente i suoi documentari degli anni Cinquanta, brevi film a colori che testimoniavano un mondo in via di sparizione, soprattutto in Sicilia.

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