Il bodybuilding da mille e una notte è una faccenda americana in cui ogni tanto fiorisce un «c’era una volta in Europa».

Dorian Yates andò negli Stati Uniti, vide quello che c’era da vedere, si limitò a osservare con ritegno l’oceano di cibo che gli traboccava intorno, perse la sua prima gara di livello, tornò a Birmingham. Era il 1990 e aveva da poco compiuto ventott’anni. Come un altro europeo prima di lui, Arnold, la sua ascesa comincia da un bruciante secondo posto. Per la rifinitura prima della Night of Champions di New York va ad allenarsi alla Natural Physique Gym, dove i culturisti americani lo accolgono come un imbucato, per non dire un paria. Yates è un tipo taciturno, si allena sempre coperto, nessuno lo vede arrivare. Yates non ama farsi vedere. Non vuole farsi vedere. Così dopo l’allenamento scende nel sottoscala. Là finalmente si libera dei vestiti e comincia a posare:

Ma non sa, Dorian, che tutti i locali della struttura sono coperti da un circuito chiuso di telecamere, così, dopo pochi minuti, metà della palestra, incredula, scende a rendersi conto con i propri occhi che questo sconosciuto non è arrivato a New York in vacanza. Nicole, che solo qualche minuto prima l’aveva rimproverato violentemente per aver lasciato la bottiglietta dell’acqua per terra, non crede a quello che vede. Da dove arriva questo alieno?

Trent’anni fa Dorian Yates ha scioccato il mondo del bodybuilding. Stefano Gallerani ha ricomposto la sua vicenda in un libro che ai profani del culturismo apparirà gustoso e avvincente, scelleratamente bello agli appassionati.

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