Un mese fa è mancato Maurizio Pollini, leggenda del pianoforte. Milanesissimo, nato nel 1942 in una famiglia di colta sensibilità musicale, con il padre Gino, celebre architetto razionalista e violinista, e la madre Renata Melotti, studi di canto e pianoforte, sorella del noto scultore Fausto a sua volta pianista, fin da bambino Maurizio ha seguito con passione la vita musicale della sua città, animata da personaggi come Rubinstein, Benedetti Michelangeli, Gieseking, Haskil, Fischer, Bakhaus e Cortot. Rammentava con entusiasmo il Wagner diretto da Toscanini, il Ring di Furtwängler, il Wozzeck di Berg diretto da Mitropoulos alla Scala nel 1953 e i concerti di Karajan, esperienze memorabili per lui, ragazzo, che si aggiungevano agli interessi coltivati in famiglia per autori come Debussy, Ravel e Stravinskij, e alla naturale inclinazione assorbita per l’arte e l’architettura moderna. 

Il suo maestro Carlo Vidusso lo incoraggiò ad eseguire in pubblico, a soli quattordici anni, l’integrale degli Studi di Chopin, rinomati per la difficoltà tecnica, e in pochi anni il suo talento fu apprezzato dal mondo intero, inizialmente grazie al secondo premio al Concorso Internazionale di Ginevra (1957), poi a diciott’anni per il prestigioso primo premio al Concorso Chopin di Varsavia (1960), dove diverse fotografie lo ritraggono ben impellicciato e soprattutto dove conobbe di persona Arthur Rubinstein. Da lui ebbe quello che considerò il miglior consiglio di tecnica pianistica mai ricevuto, ovvero di usare il peso: Rubinstein appoggiò il terzo dito sulla sua spalla spiegando che suonando in quel modo, trasmettendo in maniera del tutto naturale la forza intera del braccio e della spalla alle dita, non si stancava mai, quel peso impressionante era il trucco per ottenere un suono grandioso.  

Pollini preferì rinunciare agli innumerevoli ingaggi derivati dalla vincita dello Chopin per dedicarsi invece allo studio e ad ampliare il suo repertorio. Per qualche tempo fu allievo di Arturo Benedetti Michelangeli e ne frequentò i corsi collettivi vicino a Bolzano e ad Arezzo. Studiò Beethoven, imparò diteggiature particolarmente efficaci e apprese la preziosa tecnica di un uso accurato del doppio scappamento, scoprì che suonando praticamente sotto al tasto si potevano realizzare sonorità impalpabili.

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