La periferia come mondo nuovo da inventare: il noto duo di artisti torinesi Gianfranco Botto e Roberta Bruno, conosciuti come Botto e Bruno, confessa e ripercorre, nella loro casa-studio in Piazza Bengasi a Torino, i principali aspetti della propria ricerca e del proprio percorso, iniziato all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino alla fine degli anni Ottanta e tuttora in corso, descrivendo il loro modo di intendere il luogo urbano, l’integrazione fra spazi con identità opposte, così come il mercato e il collezionismo, oltre al significato di dedicare una vita intera al proprio messaggio. 

Come nasce la vostra ricerca sulla periferia? 

R.: La questione della periferia è strettamente autobiografica. Gianfranco è nato in zona Mirafiori, io nel quartiere San Paolo, sempre a Torino, quindi incontrandoci in centro, ovvero all’Accademia Albertina, ci siamo subito resi conto che vivevamo problematiche comuni: questo senso profondo di spaesamento, di appartenere ad un altrove nonostante vivessimo nella stessa città. Per cui ci siamo immediatamente riconosciuti per la nostra sensazione condivisa di inadeguatezza. E da lì abbiamo capito insieme che quel malessere poteva essere un punto di partenza da analizzare per poter sviluppare la nostra poetica. 

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© Carola Allemandi

G.: Il mondo culturale, allora, quando siamo entrati in Accademia, a metà anni Ottanta, era molto elitario. Se non appartenevi a un determinato ambiente venivi immediatamente emarginato. Noi spesso mettiamo a confronto la nostra esperienza con la poetica di Pasolini: lui andava nelle borgate per vedere e far vedere la vita e l’umanità che lì si nascondeva, mentre noi abbiamo reso nei nostri lavori una borgata che prende vita e che fa finalmente qualcosa, si fa vedere.

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