Con dieci storie di compositori anticonformisti e il libro Il suono nel suono. Ascoltare davvero il ventesimo secolo appena pubblicato in italiano da EDT, Kate Molleson, conduttrice di programmi musicali della BBC, propone una sua storia della musica del XX secolo. 

Ci permette di scoprire dieci autori, tra cui cinque donne, meno noti ma innovatori, antagonisti a volte trasgressivi altre stravaganti, scelti per la loro originalità e autenticità, i cui percorsi incrociano anche quelli più ufficiali dei grandi nomi passati alla storia. Dal Messico al Midwest metodista, da Salvador de Bahia a Manila, San Pietroburgo, l’Etiopia, la Danimarca, la Bronzeville chicagoana, la Costa Azzurra, la Nuova Zelanda, il lettore è invitato a rivedere i suoi abituali riferimenti storico-geografici. 

Ad esempio scopriamo la rivoluzione microtonale – che utilizzava frazioni più piccole del semitono cromatico e che generalmente approcciamo tramite personaggi come Thaddeus Cahill, Ferruccio Busoni o Georgij Rimskij-Korsakov – dal punto di vista di Juliàn Carrillo (1875-1965), teorico del Sonido 13, che da Ahualulco (dal 1932 al 1944 detta proprio Ahualulco del Sonido 13) a New York a Lipsia, ha creato strumenti microtonali di ogni genere, tipo oboi, corni, arpe e numerosi pianoforti in cui tra tasti adiacenti gli intervalli variavano da un terzo a un sedicesimo di tono, fino a coprire l’estensione di una sola ottava con novantasette tasti.

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Ruth Crawford

O ripensiamo alla etnomusicologia grazie a Ruth Crawford (1901-1953), che dall’Ohio alla Florida a Chicago a New York – dove si era trasferita per studiare con Charles Louis Seeger, che in seguito sposò –, è stata la prima donna a ricevere una borsa di studio Guggenheim per la composizione e la usò per andare nei primi anni Trenta a studiare a Berlino e a conoscere l’Europa, dove incontrò tra gli altri Berg e Bartók. Si sarebbe poi a lungo dedicata alla trascrizione di canti popolari, tra cui le famose registrazioni su gommalacca di John e Alan Lomax, e scrisse diversi libri per bambini che le procurarono una certa fama negli ambienti musicali e didattici.

Walter Smetak si definiva de-compositore e intendeva creare un nuovo genere di musica con strumenti fatti di materiali ordinari come bambù, filo metallico, plastica, guanti di gomma e vegetali

O ancora riviviamo il Brasile grazie a un immigrato svizzero, Walter Smetak (1913-1984), che vi si ritrovò per l’avvio di una carriera di violoncellista e scelse di rimanerci, catturato dal fervore culturale di Salvador de Bahia tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Si definiva de-compositore e intendeva creare un nuovo genere di musica con strumenti fatti di materiali ordinari come bambù, filo metallico, plastica, guanti di gomma e vegetali, intonati liberamente. Le sue sculture musicali Plásticas sonoras, in sintonia con la luna, potevano essere suonate da tante persone simultaneamente, come nel caso del flauto collettivo di bambù lungo cinque metri con ventidue fori, cui potevano unirsi anche ventidue persone allo stesso tempo. 

José Maceda (1917-2004) invece proveniva dalle Filippine e, alla fine degli anni Trenta era un giovane pianista che si perfezionava a Parigi con niente meno che Alfred Cortot. Rientrato nelle Filippine si interessò in particolare alle culture musicali indigene preesistenti all’influsso occidentale e iniziò a progettare spettacoli fantasmagorici che ricordavano piuttosto Xenakis o Varèse, inglobando nella musica spazi e rumori, fino a immaginare un brano per venti stazioni radiofoniche e milioni di esecutori, in cui ogni stazione radio eseguiva una parte ma venivano comunque trasmesse simultaneamente, per le strade della città, creando un’armonia collettiva sorprendente. Accadde davvero il 1° gennaio 1974 con Ugnayan, tra le sei e le sette del pomeriggio, trasmessa tramite le trentasette stazioni radio dell’area metropolitana di Manila con il sostegno del governo e di Imelda Marcos, con risvolti patriottici che l’autore avrebbe poi messo in discussione, istituendo punti di incontro in parchi e vari altri spazi pubblici perché i cittadini partecipassero in prima persona con le proprie radio a transistor. 

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Walter Smetak

In Russia intanto c’era Galina Ustvol’skaja (1919-2006), la ragazzina che quando le chiedevano cosa volesse fare da grande rispondeva che avrebbe voluto essere un’orchestra. Cresciuta negli anni in cui l’Associazione Russa dei Compositori Proletari perseguitava i compositori progressisti, studiò con Šostakovič e ne guadagnò rapidamente la stima, tanto che lui avrebbe poi per anni sottoposto a lei le sue composizioni chiedendo consigli, e spesso suonavano a quattro mani o ascoltavano musica insieme. Lei poi insegnò a sua volta e sposò un suo giovane studente. 

Guèbru ottenne un impiego governativo, prima donna a lavorare come segretaria per il ministero degli Esteri etiope. Nel 1946 le fu offerto un posto alla Royal Academy of Music di Londra e poté sognare una carriera di concertista

Mentre la piccola Yewubdar Guèbru, poi nota come Emahoy Tsegué-Mariam (1923-2023), e la sorella maggiore, provenienti da una delle famiglie più agiate della diplomazia di Addis Abeba, all’età di sei e tredici anni furono le prime bambine etiopi ad andare all’estero per studiare, imbarcandosi per Marsiglia per raggiungere un collegio in Svizzera. Dopo i duri anni dell’invasione italiana dell’Etiopia, nel 1941 la vita sociale di Addis Abeba riprese. Guèbru ottenne un impiego governativo, prima donna a lavorare come segretaria per il ministero degli Esteri etiope. Nel 1946 le fu offerto un posto alla Royal Academy of Music di Londra e poté sognare una carriera di concertista, ma l’amministrazione etiope le negò il permesso e Emahoy scivolò nella depressione e si fece suora. Andò a vivere sulla montagna sacra di Gishen, scalza, per dieci anni, senza musica, dedicandosi alla preghiera. Grazie al cognato, ambasciatore di Etiopia a Bonn, nel 1963 andò in Germania e ripensò a Beethoven, e in poco tempo si trovò a preparare un album che incise in uno studio di Colonia, su un pianoforte che era stato suonato da Mozart. Nel 1974 a Addis Abeba iniziava la guerra civile e Emahoy cercò asilo nella comunità etiope di Gerusalemme, dove si stabilì successivamente per non tornare più. Ma passò altri vent’anni senza pianoforte, nel monastero Debre Genet se ne fece finalmente portare uno in cella relativamente pochi anni fa, creando anche un certo scompiglio tra gli anziani della chiesa.

Else Marie Pade (1924-2016) invece da ragazzina faceva saltare in aria le cabine telefoniche, c’era la Seconda guerra mondiale e lei faceva parte della Resistenza. Fu internata nel campo di Frøslev, dove conobbe Henning Pade, con cui poi si sposò. Dopo gli studi in Conservatorio ottenne un posto alla Radio Danese, dove scoprì come manipolare i suoni con le strumentazioni elettroniche. Creò diverse composizioni innovative e strinse amicizia con Pierre Boulez e Karlheinz Stockhausen. 

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Else Marie Pade

Muhal Richard Abrams (1930-2017) era figlio di afroamericani che avevano abbandonato l’Alabama in cerca di lavoro e uguaglianza e si trasferirono nel South Side di Chicago, in una comunità culturalmente vivace della società nera degli anni Trenta dove sarebbe poi atterrato anche Sun Ra con la sua Arkestra e si sarebbero incontrati tanti altri musicisti tra i più progressivi dell’America moderna. Tra il Black Power degli anni Sessanta e la fondazione dell’Aacm, Muhal Richard Abrams si trasferì poi a New York. 

Pioniera nell’ambito della musica concreta è stata Éliane Radigue (1932). Assistente sia di Pierre Schaeffer sia di Pierre Henry, ha effettuato quei meticolosi lavori di taglia e incolla delle lunghe bobine di nastri magnetici che il mestiere richiedeva. Con Arman, all’epoca suo marito, frequentava il gruppo di intellettuali di Nizza, tra cui Yves Klein e Claude Pascal, anni dopo noto come l’École de Nice e poi come i Nouveaux Réalistes. Nel 1963 seguì Arman con i figli a New York e scoprì personaggi come John Cage e David Tudor e i seguaci di Fluxus. Tornata a Parigi riprese i rapporti con gli amici della musica elettroacustica francese, ma cedette a un invito ottenuto grazie a Steve Reich dalla New York University per cui tornò in America nel 1970, e scoprì i sintetizzatori. La musica di Radigue ha tempi incredibilmente lenti. Nel saggio Le temps n’a pas d’importance paragona la sua musica a una pianta: «Non la vediamo muoversi, eppure cresce continuamente». 

Annea Lockwood indagava come gli elementi della natura, fuoco, acqua, vento, piante e terra, possono insinuarsi in uno strumento progettato per essere sottoposto al più stretto controllo

Veniva invece da Christchurch, in Nuova Zelanda, Annea Lockwood (1939), che si trasferì poi a Londra all’inizio degli anni Sessanta con una borsa di studio del Royal College of Music e una del governo neozelandese a condizione che a studi finiti tornasse in patria per insegnare. Non lo fece mai e dopo pochi anni nella capitale britannica, Lockwood restituì i soldi al governo. Iniziò la sua attività musicale con pianoforti destinati alle discariche, ridando loro vita in maniera del tutto inaspettata. Ne aveva annegati alcuni in uno stagno ad Amarillo, in Texas, e ne aveva seminati altri in raffinati giardini dell’Essex, in Inghilterra, aveva poi anche invitato il mare a lambire le gambe di un gran coda collocato su una spiaggia sulla linea dell’alta marea in Australia. Indagava come gli elementi della natura, fuoco, acqua, vento, piante e terra, possono insinuarsi in uno strumento progettato per essere sottoposto al più stretto controllo. Sempre più si interessò a quel che il popolo Māori avrebbe definito Pākehā, avere origini bianche. Si dedicò all’anticomposizione anche con lavori di vetro. 

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Éliane Radigue

Il punto è che non si dovrebbero cercare altri compositori che compongano musica seguendo i modelli noti, ma piuttosto guardare e ascoltare oltre.

Kate Molleson, Il suono nel suono. Ascoltare davvero il ventesimo secolo, EDT, 2023.