«Le canzoni hanno più strati e va bene fermarsi a quello che si vuole. Se uno vuole muovere la testa e divertirsi può farlo, se uno vuole andare più a fondo può cogliere un messaggio magari semplice ma forte e importante»
(Annalisa Scarrone, 9 febbraio 2024)

C’è una situazione ricorrente nelle canzoni di Annalisa (e soprattutto nei suoi singoli più recenti e di maggior successo): una giovane donna si rivolge al suo partner, o ex partner, da una posizione di subalternità sentimentale. Gergalmente, ma anche tecnicamente, potremmo dire che in queste canzoni a parlare è spesso una sottona. Da un lato questa voce non è priva di risvolti masochistici (così in Sinceramente – «mi piace quando piango» – e già in Bellissima: «E poi senza avvisare sei qui/ (…) Oddio però tu mi piaci»); dall’altro si offre come piattaforma di lancio per rivendicazioni polemiche. In Bellissima la protagonista si lamenta del fatto che lui accetti di vederla solo a casa sua e solo quando gli fa comodo, quasi vergognandosi di lei. La situazione è più o meno quella di un classico come Minuetto, scritto da Califano per Mia Martini («E vieni a casa mia, quando vuoi, nelle notti più che mai/ Dormi qui, te ne vai, sono sempre fatti tuoi»); la differenza è che mentre Mia riconosceva il proprio lato masochista («la colpa forse è solo mia»), Annalisa si sente svalutata e protesta:

Insieme solo dentro casa che senso ha
Di me non parli con nessuno e non me lo merito

In Mon Amour la paura dell’io è quella di costituire l’elemento debole del triangolo amoroso al centro nel testo:

Lei, un movimento tecnico
Lui, un sorso con l’arsenico
Io rimango sola come minimo

In Euforia la sofferenza riemerge dal passato, in chiave nostalgica e asimmetrica, nel rimpianto di una intimità perduta:

Mettiamo sottosopra la mia nostalgia
Quella che conosci solo tu in teoria

Quanto a Sinceramente, siamo in tutta evidenza di fronte al risentito bilancio di una relazione finita per colpa di lui. L’insonnia accusata nell’incipit parla chiaro (e del resto parlava già chiaro in un passo parallelo di Bellissima: «E poi volevo dirti che non ci dormo più/ Madonna se mi manchi, sì/ Chiamatemi un medico»). Che tipo di relazione sia non è spiegato, certo un legame che si alimenta di distanze e sapienti strategie messaggistiche («Ti lascio un messaggio»; «Se ti mando mando mando solo un messaggio»). La struttura del brano, d’altronde, è epistolare: siamo di fronte a una lettera dalla disperazione, opportunamente non spedita dal momento che lettere come queste non si spediscono (come ricorda sempre Annalisa in Ragazza sola: «Lettere e collant dimenticati nei cassetti/ Come questi anni e quei diari mai aperti»), ma servono semmai a quella «verità (…) più poetica» che spetta solo all’arte elaborare (ancora Ragazza sola: «E non sarà mai domenica/ Senza una frase poetica»). Se consideriamo che nel ciclo lunare le fasi sono otto e l’ultima è calante (la nona è nuova ma riguarda solo lui) possiamo concludere che tra i due è lei quella che sta soffrendo:

Mi sveglio ed è passata solo un’ora
Non mi addormenterò
Ancora otto lune nere e tu la nona
(…) Mi sento scossa ah
Ma quanto male fa

Questa posizione di reiterata sofferenza amorosa – «di nuovo sotto un treno», nei termini di Sinceramente – non avrebbe nulla di particolarmente originale, se non fosse che nelle canzoni di cui stiamo parlando vi si aggiunge sempre anche qualcosa che la rende ambigua, opaca e per certi versi contraddittoria. A guardar bene, altro che sottona: nei singoli di Annalisa agisce sempre un elemento dialettico, che rimette in questione lo scacco imposto dal tu e lo usa come trampolino per una diversa affermazione dell’io. Le costanti sono insomma due – subalternità e riscatto – e collegate tra loro: solo la presenza della seconda rende peculiare la prima. 

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Ebbene, come si manifesta questa dialettica? In Euforia attraverso l’ambivalenza – la  «dolce malinconia» accusata da una voce femminile che è specialista non solo di ossimori ma anche di antitesi («(Sono/ Passate quante settimane? Non lo so /A fare sesso e litigare all night long/ Mi hai fatto piangere e ballare, oh-oh-oh»). In Bellissima, grazie alla ricerca di una flessibilità psicologica («Mi sto impegnando ad essere più elastica») da opporre all’intransigenza di lui («No, non mi dire che è tardi»); e simmetricamente alla ricerca di una sobrietà comunicativa («Ti sto pensando e non ti scrivo da tanto») che schermi  la sua pericolosa, tentacolare eloquenza («Il tuo modo di dire le cose che sesso fa»). In Sinceramente la dialettica in questione è addirittura a tema, ribadita da una frase che è solo apparentemente un modo di dire: «sto facendo un passo avanti e uno indietro». Anzi a ben guardare la confessione sincera promessa dal titolo consiste appunto nella scoperta antitragica che (contrariamente a quanto assicurano troppe romanze e troppe canzonette) d’amore, alla fine, non si muore:

Sinceramente quando quando quando quando piango
Anche se a volte mi nascondo
Non mi sogno di tagliarmi le vene
E anche se poi cadesse il mondo
Non mi sogno di morire di sete
quanto male fa
Come morire
Ma non capita

E tuttavia la formula più incisiva e sintetica di questa dialettica fra subalternità e affermazione libertaria resta quella enunciata in Mon Amour, inno elevato a una donna «disperata», certo, ma miracolosamente anche «leggera»:

Disperata e anche leggera
Vengo per rubarti la scena

«Tu non sei leggero», sottolinea polemicamente Annalisa in Sinceramente; leggera è lei, nonostante tutto. Ed è proprio con la forza di questa leggerezza appresa alla dura scuola della frustrazione amorosa che l’io presunta vittima intende rubare la scena al tu presunto carnefice, capovolgere gli assetti e uscirne vincitrice. Solo apparentemente perdente e remissivo, l’io femminile delle canzoni di Annalisa è quindi sempre agonistico, e spesso ironicamente agonistico.

Un primo e più strutturale livello dell’ironia è quello intertestuale. In Sinceramente il dolore è messo a distanza e come ridimensionato da una serie impressionante di citazioni allusive, pastiche di rimandi alla tradizione italiana più varia – anzi non solo italiana, se si pensa che i rinvii più stringenti, che non importa approfondire qui, portano a Kylie Minogue. Ma intanto, «mi sento scossa» viene da Prozac+, il mondo non si ferma nei successi di Jimmy Fontana e cade in quelli dei Ricchi e poveri e Raffaella Carrà, la luna nera ricorda Quelli che benpensano e le vene da (non) tagliare forse Donatella Rettore; e ancora, c’è Fred Buscaglione, Parole parole di Mina e Alberto Lupo filtrato però da Noemi, Caterina Caselli, Tony Renis…

Oltre i metadiscorsi, comunque, agisce in queste canzoni un’ironia più concreta, fatta di comportamenti sdrammatizzanti e gesti libertari. A volte i due livelli s’incontrano, come quando in Mon Amour lei immagina «sangue nella dance floor», ispirata evidentemente dal Michael Jackson di Blood on the Dance Floor, e promette di «fare una strage» tra le lampade a sfera. In Euforia, più semplicemente, si tratterà di correggere la «maledetta gelosia» che la rode con il tentativo, tutto reattivo, «di farti incazzare». Mentre in Bellissima per salvarsi «da un pianto isterico»  sarà necessario svestire la formalità di un elegante abito Saint Laurent (al servizio di uno sguardo maschile: «non dovevi andare via/ ero bellissima») per indossare un informalissimo «pantaloncino dell’Adidas», col sottofondo di una «musica da ginnastica» che non solo è ironica, ma addirittura autoironica. Sinceramente insegna infine che quando ci si sente male non c’è niente di meglio che limitarsi a spedire al proprio carnefice un messaggio con due parole in croce: «Sinceramente tua». Yours sincerely.

E però c’è qualcosa che non torna, se questa stessa canzone lascia intravedere la possibilità di un doppio livello di sincerità:

La vuoi la verità
Ma quale verità
Ti dico la sincera o quella più poetica?

Secondo Annalisa Scarrone, Sinceramente significa che «se tu mi lasci i miei spazi e mi lasci libera, allora io sono tua, sinceramente. (…) In questa canzone c’è una donna forte che rivendica il suo diritto di essere libera». Ma in cosa consiste questa libertà, se si ammette che le schermaglie amorose «sono solo parole e dopo il vuoto?» Se «sono solo bagliori e non è oro»? Posto che l’immagine di una donna forte e libera risulta certamente «poetica», resta da capire dove va a parare l’enunciazione dell’altra verità, quella meno poetica ma forse più «sincera». A mio parere, conduce alla scoperta – questa sì, autenticamente dialettica, anche se forse inconscia – della precarietà di quello stesso equilibrio, faticosamente conseguito, di disperazione e leggerezza, di sofferenza e autoaffermazione libertaria e ironica. E se dopotutto in amore non fosse vero niente? Solo bagliori senza oro, appunto, cioè molto fumo e poco o niente arrosto. «Se non lo facciamo me lo immagino»: la vera rivincita sui rapporti di forza che la realtà impone è quella tutta fantasmatica e creativa adombrata in Mon amour. Così lavorano gli artisti, e così si vendicano del mondo. Più precisamente, se lo immaginano perché non lo fanno; e non lo fanno perché non lo sanno, non lo possono o non lo vogliono fare. Ed è solo immaginandoselo che dicono le cose come davvero stanno.

Ecco perché i dettagli più preziosi, nei testi delle canzoni di Annalisa, stanno forse in certe domande apparentemente incongrue, ma a ben guardare radicali e prospettiche, che mettono in questione non solo i ruoli tradizionali della coppia, e la trita contrapposizione tra vittima e carnefice: «Ho visto lei che bacia lui/ Che bacia lei che bacia me/ Mon amour, amour/ Ma chi baci tu?». Domande che arrivano a intaccare la realtà stessa della relazione, e dei sentimenti che dovrebbero innervarla. Domande assolute ed essenziali, potremmo dire rivoluzionarie, che Annalisa fa senz’altro bene a ricordarci: «Quindi ci piacciamo oppure no?»

(Grazie a Riccardo Lombardo e Giacomo Stanga per un paio di suggerimenti intertestuali).