Visitare una mostra su uno scrittore, anche se lo scrittore si chiama Italo Calvino, è un po’ come assistere alla versione cinematografica di un romanzo che hai amato molto. Ti devi prendere qualche giorno per pensare, perché ciò che hai guardato non sempre coincide con ciò che hai sempre immaginato di vedere su quell’autore. 

Italo Calvino racconta, a suo modo, come si costruisce una mostra in un magnifico testo che introduce un libro di un pittore e scultore, Idem di Giulio Paolini. Il testo nasce dall’osservazione delle opere dell’artista, e trasmette la sensazione che questa mostra vuole costruire: un confronto-scontro tra arte e scrittura, uno spazio in cui è possibile osservare entrambe. 

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Giulio Paolini, collage utilizzato per la copertina del volume di Marco Belpoliti L’occhio di Calvino (Einaudi, 1997),
collezione privata / © Giulio Paolini

La storia più o meno si svolge così: tutte le volte che incontra un suo amico artista, lo scrittore rincasa rimuginando tra sé. Lo spazio che occupano le opere dell’artista è soprattutto uno spazio mentale, eppure esse ostentano le materie prime di cui sono composte: tela, legno, carta, colori di produzione industriale, articoli che si comprano nei negozi di forniture per pittori. Non è il rapporto dell’io col mondo che queste opere cercano di fissare: è un rapporto che si stabilisce indipendentemente dall’io e indipendentemente dal mondo. Anche allo scrittore piacerebbe creare queste opere: perché all’io non crede, o se ci crede non gli piace, e perché il mondo non gli piace o se gli piace non ci crede. Però non riesce a trovare la strada.

Ecco, la mostra Favoloso Calvino, a cura di Mario Barenghi, visitabile alle Scuderie del Quirinale fino al 4 febbraio 2024, è esattamente questo:

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