Secondo una massima attribuita a Čechov, se nel primo atto di un’opera teatrale c’è un fucile appeso alla parete, prima della fine deve essere usato da qualcuno. Se in Everything Everywhere All at Once di Daniel Kwan e Daniel Scheinert, meglio noti come i Daniels, su una mensola compaiono un paio di trofei a forma di anal plug, ovvio che dopo un po’ finiranno nel loro luogo deputato. La motivazione narrativa, se ho ben capito, è che i personaggi, per passare da un universo all’altro, devono fare qualcosa di assurdo, come aspirare una mosca con una narice, dire “ti amo” al proprio peggior nemico, o usare in modo poco ortodosso, o forse no, un trofeo a forma di anal plug, La scena in questione è maliziosamente censurata da una pixellatura in stile pornovideo giapponese, e non è una delle prime cose che di solito riferiscono i recensori di un film che, dopo i sette Oscar, da noi ha suscitato un minimo di dibattito in un medium fuori moda come il cinema da sala. È il film più brutto della storia (chi lo sostiene di solito l’ha mollato prima della scena dell’anal plug)? Meritava gli Oscar? È un film adatto solo a giovani gamers?
A me la gag dell’anal plug è sembrata una delle cose più interessanti di un film che, dal punto di vista della sceneggiatura e della gestione del tema dei mondi alternativi e degli universi paralleli, è davvero poca cosa (vertiginoso? psichedelico? Siamo seri…). E non solo perché l’anal plug crea un tessuto intertestuale tra una famigerata megainstallazione di Paul McCarthy in Place Vendôme a Parigi (distrutta pochi giorni dopo la sua inaugurazione, nell’ottobre 2014) e la performance di non so quale cantante sanremese nel 2023 (e il giorno dopo, puntuale, è arrivata subito nella spam la pubblicità di una ditta di sex toys). Il fatto è che non ci si aspetterebbe una gag così in un film da Oscar. Ma quello dei Daniels è un film da Oscar, spettacolare, divertente (almeno per qualcuno), magnificamente interpretato (di questo bisogna dargli atto), con un messaggio finale che è un colpo al cerchio (la ricostituzione della famiglia) e uno alla botte (l’accettazione della figlia gay). Buoni sentimenti e inclusività. E allora che cosa c’entra l’anal plug? C’entra nello stesso modo in cui c’entrano tutte le gag scatologiche di cui è condito il film: sono la pernacchia giullaresca che rende più digeribile il convenzionale e dolciastro happy end. La simulazione di essere scorretti quando di scorretto non c’è proprio nulla – anzi.
In che modo i Daniels dicono tutto questo?
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