Mentre leggo Alzarsi presto di Sandro Campani (Einaudi, 2023), e immagino me perso tra i boschi alla ricerca di funghi invisibili, maledicendo contemporaneamente i cinghiali devastatori di tartufaie e il mio terribile senso dell’orientamento, mi torna in mente quel famosissimo passo delle Grandi correnti della mistica ebraica di Gershom Scholem (Einaudi, 1993) sul potere magico delle storie. 

Il brano racconta di alcune generazioni di rabbini che, nel corso dei secoli, quando erano alle prese con “un compito difficile”, per prima cosa andavano in un certo posto nel bosco, accendevano il fuoco, poi dicevano le preghiere, e tutto ciò che desideravano si realizzava. Nel tempo, però, cominciano a smarrire la conoscenza di alcuni riti, dapprima non sanno più accendere il fuoco, poi non conoscono più le preghiere, in ultimo il posto nel bosco. Allora, a Rabbi Israel di Rischin, non resta che fermarsi nel suo castello e raccontare la storia di quel fuoco, di quelle preghiere e di quel posto nel bosco, e questo racconto basterà, verrà esaudito tutto ciò che vorrà.

Quando Giorgio Agamben recupera questa citazione nel suo Il fuoco e il racconto (oggi contenuto in La mente sgombra, Einaudi, 2023) si concentra molto sulla “perdita di memoria del fuoco” come smarrimento del mistero all’origine delle cose del mondo: l’umanità ha perso il fuoco, non è a conoscenza dell’arcano che permea ciò che le sta attorno; ma possiede intimamente il suo ricordo, la sua storia, e ne può fare quindi racconto e letteratura. Il meccanismo magico così non si interrompe. 

Agamben si concentra molto, dicevo, sul fuoco, il primo elemento smarrito, ma forse dedica poco spazio al “posto nel bosco”, che invece è l’ultimo degli elementi che i rabbini smarriscono, la cui conoscenza si era mostrata sicuramente più resistente e profonda: le radici sono sempre più forti delle fiamme. Anche simbolicamente. In quel luogo, infatti, rimane magari qualcosa da indagare. 

Ecco, penso che Alzarsi presto di Sandro Campani si occupi proprio del “posto nel bosco”, che parli del luogo in cui viviamo il mistero, di quale aspetto abbia, di come ci si ritorni. Un luogo che esige una forma di intelligenza nuova, diversa, per essere abitato davvero. Un luogo a cui non si ritorna facilmente o forse non si ritorna affatto. 

Questa intelligenza, nelle pagine di Campani, è incarnata da suo fratello Pietro,

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