Ha avuto vita mediatica breve il caso della P38, gruppo musicale hip-hop/trap sotto processo in Italia per apologia di reato e istigazione a delinquere. In pochi ne hanno parlato al di là della notizia d’agenzia, ancora meno sono state le prese di posizione informate, nessun particolare allarme da parte della ben nutrita e sempre vigile schiera dei difensori della libertà d’espressione contro il politicamente corretto. Eppure il procedimento in corso ha ottenuto quello che voleva, cioè la fine del progetto, creando un precedente che dovrebbe destare qualche preoccupazione.

Il Tribunale di Torino, nel frattempo, si è espresso contro gli arresti domiciliari richiesti (a due riprese) dal pubblico ministero, e nella sua decisione del 6 marzo 2023 sembra comprendere le ragioni della difesa: pur non lesinando condanne morali, infatti, la sezione del Riesame ha stabilito che «le contestate condotte costituiscono soltanto un’operazione artistico/musicale provocatoria che affonda le sue radici nel genere rap/trap».

In qualunque direzione andrà la sentenza definitiva, i punti focali del processo saranno i testi e la loro interpretazione. A distanza di pochi mesi dalla vicenda Sgargabonzi il sistema giuridico italiano dovrà tornare a svolgere un lavoro che non sarà esagerato definire di “critica letteraria” («siamo letteratura, che fare?», verrebbe da dire citando Moda italiana).

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