Il primo passaggio televisivo di Profondo rosso fece molto rumore nei corridoi della Scuola media Caduti di Cefalonia di Torino (in realtà poteva anche essere il secondo passaggio, erano gli inizi degli anni Ottanta, ma per noi era il primo). Nessuno di noi dodici-tredicenni aveva potuto vederlo al cinema, ovviamente, dato che era uscito nel 1975 ed era vietato ai minori, ma i fratelli maggiori ne parlavano come del più terrorizzante dei film di paura, perciò appena il film comparve all’orizzonte, sulle pagine di «Sorrisi e Canzoni», si profilò una gara di coraggio tra i maschi: lo avremmo visto tutti, con o senza il permesso dei genitori – a quel tempo del resto molto distratti, e poco informati circa i danni della violenza vista in tv – e poi, il giorno dopo, avremmo commentato insieme le scene più sanguinolente (le avremmo commentate nei corridoi durante l’intervallo, tra noi, non in classe col professore: allora il pop era ancora tabù, oggi potrebbe essere un tema di maturità). 

Io avevo una psiche sensibile, rispetto ai miei compagni di scuola, e i film dell’orrore mi terrorizzavano, e mi terrorizzavano il buio, il paranormale, i fantasmi, i cimiteri e tutto il resto della mobilia horror; ma proprio per questo, naturalmente, ero attratto da ogni sceneggiato o telefilm o film in cui questa mobilia veniva sciorinata. Nel paesino di mezza montagna dove trascorrevamo l’agosto c’era un cinema di seconda visione, e qui alcuni mesi prima era avvenuta la mia iniziazione con Quella villa accanto al cimitero di Lucio Fulci, che mi aveva spaventato a tal punto che per settimane avevo trattenuto la pipì, la notte, pur di non avventurarmi al buio nel corridoio che portava al gabinetto. E in tv, la sera del giovedì, se non ricordo male, una serie di telefilm intitolata Thriller, prediletta dai miei genitori, mi obbligava a chiudermi in cameretta col giradischi o la radio accesi a volume altissimo per evitare di essere raggiunto anche solo da un frammento sonoro di ciò che passava sullo schermo.

Così il giorno del primo passaggio televisivo di Profondo rosso sono tornato a casa da scuola pre-terrorizzato. In condizioni normali, i miei genitori mi avrebbero impedito di vedere Profondo rosso semplicemente vedendo loro qualcos’altro: in casa c’era un solo televisore. Ma quella sera si sarebbe verificato un evento più unico che raro nel nostro ménage familiare: i miei genitori sarebbero andati a cena fuori città con certi amici, e sarebbero tornati molto tardi, “dopo mezzanotte”. Potevano fidarsi di lasciare da soli i loro figli di dodici e sedici anni, e godersi la serata (no, non avrebbero mai usato un’espressione come “goderci la serata”, il godimento non aveva parte in queste rare funzioni sociali: il senso era “sottometterci a questa corvée senza troppe preoccupazioni circa ciò che sta succedendo a casa, cioè confidare che voi due, lasciati soli, non vi scanniate a vicenda”)?

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