È ovvio che non sono le case editrici a forgiare imbecilli, o i master universitari, o le scuole di scrittura, ma in generale può sembrare che gli imbecilli circolino con particolare intensità dentro le case editrici, attorno alle case editrici, e ovunque nel mondo della cosiddetta cultura.

Moltissime persone pretendono invece che il mondo della cultura sia meno esposto, rispetto ad altri ambienti di lavoro, al traffico dell’imbecillità. Naturalmente tutte queste persone lavorano nell’editoria o comunque in quell’orgia di semioccupazione, pseudoretribuzione e precariato autoinflitto che è il mondo della cultura. Seguono percorsi di studio appositi, per riuscire a farne parte. Se prendiamo un certo tipo di imbecilli appartenenti al mondo della cultura (il tipo più diffuso: l’imbecille-imbecille), scopriamo che sin dall’università costoro hanno scelto una destinazione professionale percepita come a basso tasso di imbecillità (cosa che un giorno li porterà necessariamente a illudersi di non essere degli imbecilli). È chiaro che il meccanismo si autoalimenta, per esempio attraverso la convinzione che leggere un certo numero di libri, vedere un determinato tipo di film, andare alle mostre giuste, frequentare precise bolle social possa rendere un imbecille meno imbecille.

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