Immaginate un lettore sulla quarantina in una libreria indipendente, magari con annessa caffetteria, di fronte allo scaffale delle nuove uscite. Immaginatelo soffermarsi su un titolo in particolare, Marmocchi viziati di Simon Rich. Con aria di superiorità prende il libro, lo sfoglia, legge le informazioni sull’autore. Scopre che si tratta di uno scrittore specializzato in contenuti comedy, di età appena inferiore alla sua, che però già vanta premi e collaborazioni con show blasonati come Saturday Night Live e The Simpsons, per non parlare dei suoi pezzi per il «New Yorker», il «Guardian» e «Vogue».

Dunque sarà un libro pieno di acume e sarcasmo, intuisce il nostro lettore. Con chi se la prende questo Rich? Chi saranno mai i marmocchi del titolo? La Gen Z? Gli influencer? I nuovi ricchi? 

Non gli passa minimamente per la testa che quel libro possa parlare di lui.

E invece.

Marmocchi viziati, raccolta di racconti edita in Italia da Nottetempo con la traduzione di Alessandra Castellazzi, mette subito le cose in chiaro: quei marmocchi siamo noi, lettori occidentali nati negli anni ‘80, ancor meglio se animati da inconcludenti velleità artistiche.

Anche se Rich mette in scena soprattutto il suo mondo di scrittore ebreo newyorkese – e gli echi di Woody Allen non possono che farsi sentire – è fin troppo facile immedesimarsi nella frustrazione dei suoi personaggi, una piaga che appare non tanto settoriale quanto generazionale.

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