Non riesco mai a ricordarlo nella sua forma esatta ed è come se ogni volta che lo rileggessi scoprissi di essermene dimenticato qualcosa, ma c’è un passo di Pasolini che dice: «Tutti sanno bene che “non c’è disegno di carnefice che non sia suggerito dallo sguardo della vittima” (e che Maria Goretti, mettiamo, è responsabile del proprio sacrificio almeno quanto il sacrificante)». 

Sta in uno degli Scritti corsari, pubblicato per la prima volta sul «Mondo» l’11 aprile 1974 (avevo, allora, cinque anni): s’intitola Il carcere e la fraternità dell’amore omosessuale. Non so da dove venga la citazione che Pasolini virgoletta, me lo sono chiesto e l’ho chiesto molte volte, senza risultato, anche se nella mia memoria tende ad assumere una forma diversa, visto che suona più o meno: «negli occhi della vittima c’è sempre un lampo di acquiescenza per il carnefice». È una versione leggermente edulcorata, perché, al di là del dubbio gusto della metafora del lampo, sostituisce un cedimento (l’acquiescenza) a quello che in Pasolini è, in modo molto più scabroso, una specie di invito (suggerito): di modo che l’innocenza della vittima e quindi il suo stesso statuto di vittima ne risultano negati e abbattuti. La forma del mio ricordo è così marcata lessicalmente da quel poco comune acquiescenza che mi chiedo se in realtà io non abbia attinto alla fonte stessa di Pasolini, e conoscessi questo aforisma prima di averlo ritrovato negli Scritti corsari (e allora davvero ci dev’essere in me un tentativo ostinato anche se fallito di rimozione): se insomma non ci sia qualcosa che spieghi perché quella frase si sia conficcata nella testa sia sua, sia (scusate l’accostamento) mia e perché, insieme, mi sia così difficile trattenerla nella forma che Pasolini le dà; e questo qualcosa potrebbe essere un nodo di esperienze comuni, in cui si intrecciano, per cominciare, le idee di colpa, peccato, violenza, sessualità, omosessualità. All’omosessualità è dedicato infatti lo scritto corsaro (e ora che ci penso, ho creduto per un certo periodo che la citazione venisse da Wilde, senza riuscire però a trovarla nelle sue opere: ulteriore conferma del legame simbolico che mi viene da istituire); Maria Goretti è una santa, e non può che richiamare un lessico religioso; vittima e carnefice sono categorie dell’esercizio della forza e del potere e insieme categorie morali, come lo è quella di responsabilità. Molte cose, troppe cose, anche se ho la sensazione che non siano tutte: e a segnarmi dev’essere, forse ancora più della loro grandezza, il fatto che toccano qualcosa di profondo in me – qualcosa che intuisco, che non sono sicuro di vedere con chiarezza, e di cui qui non parlerò.

Il legame tra sacrificata e sacrificante è per Pasolini un legame morale di comune responsabilità

A dire il vero, che Pasolini nominasse Maria Goretti non lo ricordavo affatto: è un altro segno del mio bisogno di edulcorazione, visto che è uno dei punti più scandalosi del suo discorso. Nemmeno ricordavo quel «tutti sanno bene che» su cui tornerò; tanto meno il contesto, che ricostruisco ora rileggendo l’inizio di quel saggio. Pasolini commenta un episodio di cronaca: un ragazzo di quindici anni, arrestato a Milano per un piccolo furto, viene imprigionato non in un carcere minorile, dove non ci sono posti disponibili, ma a San Vittore. È messo in cella insieme a due compagni, che cercano di abusare di lui: il ragazzo si ribella, ma viene sopraffatto dalla violenza della loro reazione. Naturalmente, l’episodio è per Pasolini «brutale, offensivo, odioso: come tutto ciò che riduce a “cosa” un “uomo”». Ma appunto, questo non toglie che «non ci sia disegno di carnefice che non sia suggerito dallo sguardo della vittima». Qualcosa nel quindicenne di Milano ha chiamato se non la violenza, l’interesse sessuale dei suoi due aggressori (i rapporti omosessuali, messi a titolo dello scritto, sono comuni nelle carceri); qualcosa in Maria Goretti, la santa del pudore e della resistenza sino alla morte, avrebbe chiamato a sé Alessandro Serenelli, il giovane uomo che non è riuscito a stuprarla e che l’ha assassinata: Maria Goretti, fa capire Pasolini, lo avrebbe indotto a martirizzarla,

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