È possibile che alcuni nascano col desiderio di essere guardati sempre negli occhi? Mario Dondero (1928-2015), a cui si dedica per la prima volta a Milano un’ampia retrospettiva nelle sale dell’Appartamento dei Principi di Palazzo Reale, sembra essere venuto al mondo sotto la stella dello sguardo ricambiato. Dai suoi numerosissimi reportage, di cui la mostra ci fa partecipi con la scelta di un centinaio di immagini, appare evidente l’amore del fotografo milanese per il fatto umano, colto sempre al di là della dimensione storica, sebbene a essa intimamente collegato. 

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Mario Dondero, Nel carcere, Kabul, 2006

Che sia nella Spagna di Francisco Franco, a casa di Pier Paolo Pasolini, nei deserti dell’Algeria, nelle aule della Sorbonne o nelle fattorie emiliane negli anni dell’alfabetizzazione di massa, Dondero muove i suoi passi al ritmo della contemporaneità, immortalando volti immersi in mondi che sarebbero stati, di lì a poco, completamente stravolti (si vedano i ragazzi di Belfast nel 1968). 

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Mario Dondero, Il ritratto di un giovane combattente repubblicano, scomparso in una fossa comune di Franco, Malaga, 2001

Dondero, che ha iniziato a lavorare negli anni Cinquanta per testate come «l’Unità», «Le Ore»  «il Manifesto», «Il venerdì di Repubblica» e che ha pubblicato fino alle ultime fasi della sua carriera, ha ritratto con stile libero coloro che, capitandogli di fronte, assumevano in quel momento il ruolo di simbolo di una narrazione storica più ampia. Come Jacques Henri Lartigue, è stato attratto dai momenti “bianchi” in cui l’emotività della gente può esprimersi al di là di tutto il resto.

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Mario Dondero, Irlanda, 1968

Figlio della fortunata generazione della fotografia milanese che conta al suo interno nomi di alta fama, come Uliano Lucas o Carla Cerati, Dondero era alla ricerca di panorami che vivevano al di fuori delle mura cittadine, nei disordini che stavano in quel periodo ridefinendo il mondo intero.

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