Dal 2017 al 2023 ho fatto parte della redazione dell’«Età del ferro», una rivista che si è voluta militante pur senza aderire a un partito, e letteraria non nei temi trattati ma nel genere praticato, quello del personal essay. Tra i collaboratori, la maggioranza maschile era schiacciante. Ne abbiamo discusso spesso. Circolava forse tra noi una complicità che allontanava involontariamente altre voci? O la disparità dipendeva dalla scelta di un saggismo che collega con un’induzione un po’ spericolata i propri fatti personali all’interpretazione del mondo? In effetti, molte mie conoscenti letterate vedono in quello stile i segni di una hybris infantile. È possibile che un’educazione più rigorosa (o… castrante) le trattenga dal tracciare un ponte tra il vissuto e un sapere tendenzialmente oggettivo? Non saprei. Però anche se guardo indietro, al Novecento italiano, tra le intellettuali di primo piano mi appaiono soprattutto narratrici e poetesse; le figure più inclini a confrontarsi direttamente con le idee, invece, sono state in genere eccellenti studiose che anche nella polemica hanno puntato su un teoricismo astratto, quasi che per risultare inattaccabili all’interno di una società ostile sentissero di doversi adeguare a una seriosità accademica imposta dall’esterno – oppure, al contrario, hanno esibito platealmente il vissuto, ma allora con la verve distanziante del giornalismo di costume. Forse non è un caso che un’eccezione clamorosa, nei suoi anni maturi, ce l’abbia regalata Natalia Ginzburg: cioè una scrittrice che ripete spesso di non voler parlare di ciò che non conosce quasi per via fisiologica, e di non capire gran parte di quel mondo – politico o perfino artistico – che sembra aver riservato ai suoi due poliedrici mariti. Ma proprio grazie a questa apparente, ostentata ottusità, Ginzburg intuisce i ricatti di una cultura pseudoenciclopedica ormai scissa dall’esperienza; e la sua ottica limitata, “dal basso”, le permette di esprimere sullo stupro, sull’aborto o sul rapporto tra genitori e figli delle opinioni o teorie che suonano irrefutabili come quelle scaturite da un’esperienza a lungo scontata nel quotidiano (prova e contrario: i suoi pezzi sul Pci sono bruttissimi). La fierezza apodittica ginzburghiana è speculare a quella tutta riversata sui Grandi Temi Storici da Susan Sontag, che forse non ha un corrispettivo italiano. O forse, almeno in parte, sì?

Dalla sua prima uscita nel 1990, Nonostante Platone non ha preso polvere, ma è anzi divenuto più attuale, più liberatorio

Queste impressioni e domande mi tornavano in mente mentre sfogliavo la recente riedizione Castelvecchi di Nonostante Platone. Figure femminili nella filosofia antica.

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