Si esce dalla magnifica mostra veneziana Marcel Duchamp e la seduzione della copia (a cura di Paul B. Franklin), accolta negli spazi della Collezione Peggy Guggenheim, accompagnati da uno certo senso di straniamento e di vertigine. Una sessantina di opere realizzate tra il 1911 e il 1968 sono sufficienti per isolare il nucleo della sua produzione artistica, che fa perno su una svolta epocale: la decisione di farla finita coi pennelli. Dopo il famoso Nudo del 1912, Duchamp decide infatti di chiudere con la pittura. Nella famosa intervista filmata di James Johnson Sweeney, realizzata nel 1955 per il canale NBC, Duchamp, camicia a scacchi, ripreso tra le sue opere nelle sale del Philadelphia Museum of Art, indica la famosa Macinatrice di cioccolato, e ricorda: «Avrei potuto produrre dieci altri Nudi, se l’avessi voluto. Invece decisi di non fare nulla. Presi immediatamente a studiare un’altra formula». Quel che egli cerca è una tecnica nuova che lo affranchi dalle pennellate di colore sulla tela. È in quel periodo (1912) che scopre le potenzialità del facsimile. Segue un corso all’École nationale des chartes, a Parigi. Lavora come bibliotecario presso la Bibliothèque Sainte-Geneviève. Proprio lì, scopre e studia alcuni facsimili. Tra questi, quelli dei famosi taccuini di Leonardo.

Questo contenuto è visibile ai soli iscritti

Snaporaz è una rivista indipendente che retribuisce i suoi collaboratori. Per esistere ha bisogno del tuo contributo.

Accedi per visualizzare l'articolo o sottoscrivi un piano Snaporaz.