I due film che hanno tenuto in vita la stagione estiva, Barbie e Oppenheimer, lavori ambiziosi di un’autrice e un autore amati da differenti tipologie di appassionati, hanno anche suscitato una rumorosa eco critica che ha mostrato, della critica, le penose difficoltà. 

Il film di Greta Gerwig è stato letto soprattutto in maniera brutalmente contenutistica (il messaggio femminista), quello di Nolan ammirato inizialmente per la sua grandiosità di progetto. Ma si è poi osservato sui social, e non solo, l’ormai comico procedere a ondate epidermiche (apologia delirante da parte dei primi commenti, poi ondata di commenti negativi e stroncature, infine qualche posizione mediana). E sullo sfondo, a ben vedere, un bagaglio comune ormai acquisito che vede il racconto al centro di tutto, dopo un’educazione trentennale a base di manualistica anglosassone sulle sceneggiature fino al trionfo dello storytelling seriale.

Se la figura del regista cinematografico come autore è un’invenzione che si è nutrita del cinema hollywoodiano, cercando nelle pieghe del sistema la cifra dello stile, di un senso che veniva donato da Hitchcock, Lang o Hawks attraverso l’arte della messa in scena, oggi questo procedimento, per i registi americani, è difficilissimo. Molti critici reagiscono con una mitizzazione dell’autore a ogni costo, magari aggrappandosi alle vecchissime glorie in disperate tautologie (in ogni film di Clint Eastwood, o di Steven Spielberg, “c’è tutto il suo cinema”). Un regista ambizioso come Nolan, molto amato dalle giovani generazioni, punta dal canto suo a rendersi visibile gonfiandosi ipertroficamente, cercando così di rendersi visibile in quanto Autore.

Su questo film incombe il modello dei biopic, genere tipico della nuova serialità televisiva, dal quale Nolan cerca ossessivamente di smarcarsi senza in fondo riuscirci

Oppenheimer, più di quanto appaia, dialoga con le immagini dei media contemporanei in un atteggiamento di rivalsa e di compensazione. Su questo film incombe il modello dei biopic, genere tipico della nuova serialità televisiva, dal quale Nolan cerca ossessivamente di smarcarsi senza in fondo riuscirci. Perché la serialità, e Nolan lo avverte bene, implica quasi sempre la morte della figura del regista. Il punto di Oppenheimer è dunque:

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