Sarà mai possibile in futuro vedere le nuove leve della musica italiana resistere sul palco per cinquant’anni? Ce lo auguriamo, ma pensiamo sia molto difficile: o almeno, difficilmente troveremo storie simili a quella dei Pooh, che quest’anno sono tornati inaspettatamente in pista con i live di Amici X Sempre. Nonostante le difficoltà, i lutti, i refresh generazionali, loro sembrano infiniti come i giorni che cantavano in una loro storica canzone: questo perché hanno sempre guardato al futuro, e oggi, invece, si pensa al presente. Mentre ruminavo questa idea, sono casualmente riuscito a contattare una colonna portante dei Pooh, ovvero Roby Facchinetti, personaggio di una gentilezza di altri tempi, poliedrico e illuminante. Approfittiamo di un suo breve momento di pausa prima di ripartire in tour e chiacchieriamo non tanto dei progetti e della storia dei Pooh, ma di quello che è un grande problema della musica attuale tutta…

Ecco, volevo parlare con te un po’ di quello che è rimasto in Italia del pop d’avanguardia. Perché per me voi siete sempre stati avanti, innovativi: e visto che quest’anno cade l’anniversario di Parsifal, anno 1973, credo sia il momento di inquadrare quel disco come l’inizio ufficioso della new wave italiana. Tu che ne pensi?

Adesso le cose sono cambiate, però diciamo che fin dall’inizio, noi abbiamo sempre pensato che una band dovesse trasmettere creatività, anticipare i tempi. Certo noi abbiamo vissuto forse gli anni più belli, più creativi, più formativi, parlo dei Sessanta e Settanta, gli anni in cui tutte le major hanno investito nella musica perché la musica la faceva veramente da padrona. Basti pensare a quello che succedeva allora nel mondo delle tastiere: una rivoluzione, partendo dal Minimoog, il Polymoog… la Yamaha che ha investito veramente l’incredibile in una serie di strumenti innovativi e alla portata di tutti, e poi la tecnologia è entrata anche in sala d’incisione: è arrivato il computer, il Pro Tools, e diciamo che noi tutte queste novità le abbiamo sempre anticipate. 

Per non parlare della tecnologia live…

Siamo stati i primi in Italia a portare il laser e un certo tipo di strutture mettendo mano al portafoglio e rimettendoci soldi di tasca nostra, ma ci divertiva tantissimo seguire queste evoluzioni perché avevamo capito che non bastava andare sul palco con la tastierina, la chitarrina l’amplificatore e stop: si sentiva l’esigenza di fare molto ma molto di più. 

Anche perché col tempo la musica pop è diventata sempre più un inarrestabile fenomeno di massa globale.

Tu considera che all’epoca c’è stata una trasformazione per cui siamo passati dalle balere degli anni Sessanta alle discoteche degli anni Settanta ai tour nei teatri, cosa che difficilmente era permessa alle band – si poteva fare qualche concerto qua e là nei teatri, ma non dei veri e propri tour. Ricordo che, invece, noi siamo partiti nei primi anni Settanta per un tour che doveva durare tre mesi e siamo rimasti in giro un anno! Questo per farti capire un po’ cosa accadeva. Poi dai teatri siamo passati ai palazzetti dello sport e dai palazzetti agli stadi.

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