Niko Pirosmani muore nel 1918 a Tbilisi. Ha cinquantasei anni. Mentre lui muore la Georgia proclama l’indipendenza. Tre anni dopo Mosca la invade e l’annette all’impero sovietico, quello uscito dalla Seconda rivoluzione russa. A Pirosmani forse non sarebbe importato molto, avrebbe continuato a vivere da uomo libero come fece fino all’ultimo istante, dopo aver svolto i lavori più diversi ed essersi formato da autodidatta alla pittura. Nato nel 1862 a Mirzaani, sul versante orientale della Georgia, figlio di contadini, il padre si trovò a fare il bracciante nella tenuta vinicola di un nobile. Ma presto Niko rimane solo, i genitori muoiono entrambi nel 1870. Viene allevato dalla famiglia del nobile a Tbilisi che lo fa istruire, così Niko impara il georgiano e il russo, viene portato a teatro, ma non si sa molto altro della sua giovinezza. La scelta di dedicarsi all’arte, anche se va a scuola da un artista del luogo, non matura subito: a ventisei anni Niko apre a Tbilisi una bottega dove realizza insegne pubblicitarie per osterie. È un dato da tenere a mente, perché la sua pittura, anche quando non riguarda le insegne commerciali, rivela una essenzialità di forte impronta comunicativa. Qualsiasi soggetto dipinga, Pirosmani è di una semplicità disarmante, come se stesse realizzando opere fortemente iconiche (non proprio icone, ma dotate di quella sospensione del tempo che appartiene alle cose silenziose come le nature morte). 

Le imprese di Pirosmani non durano mai moltissimo: due anni dopo, nel 1890, Niko chiude la bottega di insegne (forse la richiesta era scarsa, forse non piaceva il suo stile semplificato).

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