«Non si può dire che la lettura e la scrittura facciano veramente parte della vita, le offrono piuttosto un’alternativa», scrive Houellebecq verso la fine del suo libretto autodifensivo intitolato Qualche mese della mia vita da poco pubblicato in Francia da Flammarion e in Italia da La nave di Teseo. 

Questa formula è senza dubbio corretta nel caso dello scrittore francese più mediatizzato al mondo. Houellebecq vive due vite distinte che solo in parte si sovrappongono: quella come personaggio pubblico, soggetto e oggetto di polemiche e procedimenti giudiziari, e quella come autore di romanzi. Il rapporto tra la sua esistenza pubblica e la sua opera somiglia a quello che lui stesso, in questo libretto, scorge tra la sessualità e la morale: «Due figure geometriche che si potrebbero girare e rigirare in tutte le direzioni, senza mai riuscire a farle coincidere». Se la prima ha servito come amplificatore della seconda (se non altro per quanto riguarda gli aspetti commerciali) è quasi certamente vero, come gli ha detto Bernard-Henri Lévy per consolarlo delle ultime sventure, che «alla fine la letteratura vince sempre».

Alla fine dell’anno scorso, Houellebecq è stato bersaglio di aspre polemiche per alcune dichiarazioni decisamente sballate che ha rilasciato in occasione di una lunga intervista

Qualche mese della mia vita credo si possa definire un instant book nato da due affaires che hanno visto protagonista il romanziere.

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