Un amico che sta leggendo il mio stesso libro mi domanda se a mio parere anche i particolari minuti sono veri. Che importa, mi stizzisco, siamo in un regime finzionale, non ha proprio rilevanza alcuna. Ma no, insiste, è tutto vero, c’è finanche il nome dell’autore, alla fine. Mi colpisce l’ingenuità. E mi colpisce che nei social molti dicano, di questo libro, che fa piangere. Questo libro si chiama Invernale, lo ha scritto Dario Voltolini ed è la storia di un fantasma. Di un fantasma incaricato di un racconto di vita e nello specifico di malattia, che della vita è parte, e che anzi si presenta come preludio dell’ interruzione fatale, sua anticipazione sadica e perversa, perché assolutamente casuale (anche se una causa, nel libro, ce l’ha: un incidente sul lavoro, diremmo, che scoperchia il vaso dell’impazzimento cellulare). Il fantasma del padre che, come in Amleto, perseguita il figlio (qui più bonariamente, con la mera evidenza e recrudescenza della sua sorte beffarda – tradito da una coltellata, lui macellaio così abile a squartare), lo fa assumendo un’identità tutta finta, cioè raccontata: non parla mai, se non nella battuta finale, che peraltro è riferita da un’altra persona.

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