Il prestigio e la venerazione di cui gode Albert Serra è uno dei misteri gloriosi della cinefilia internazionale che fiorisce e deperisce nei festival. Di certo, a favore del regista catalano nato nel 1975, finora hanno giocato vari fattori: le ambientazioni nell’Ancien Régime dei suoi film più noti – Història de la meva mort, La Mort de Louis XIV, Liberté (così il colto cinefilo pensa sempre a La presa al potere da parte di Luigi XIV di Rossellini); la sua attività parallela di videoartista e autore teatrale (che conferisce automaticamente una qualità artistica ai suoi film); e l’avere coltivato, con progressiva audacia, un lato carnale-macabro-erotico-scatologico, fino ad arrivare all’hard esplicito del sadiano Liberté. Adesso il metodo viene trasportato nel mondo contemporaneo in Pacifiction – calembour che vuol dire tutto e niente, e a cui il distributore italiano ha cambiato il sottotitolo romanzesco, Tourment sur les îles, mettendone uno, Un mondo sommerso, che vorrebbe essere un po’ più didascalico e di richiamo per gli ignari spettatori. A cui magari è giunta voce che il film ha vinto vari premi (non a Cannes, ma alcuni César), che i «Cahiers du cinéma» l’hanno eletto miglior film del 2022, e che tutte le riviste di cinema italiane, sia online sia cartacee, hanno prodigato elogi ed entusiasmi. Nelle recensioni al film, che dura 163 minuti (e per durare così tanto deve essere per forza un gran film, secondo un paralogismo ormai corrente), si legge che Benoît Magimel (alzi la mano chi ricorda un suo film precedente) “giganteggia”. Siccome è ambientato nella Polinesia francese, è automaticamente un film “postcoloniale” – e qui la salivazione critica aumenta. Dato che il plot, se di plot si può parlare, ruota attorno a misteriosi e occultati esperimenti nucleari, vibra anche un’anima ecologista. Rispetto al precedente Liberté, ahinoi, le attività sessuali rimangono quasi interamente tra le righe; ma dato che uno dei personaggi (interpretato da Pahoa Mahagafanau), variamente concupito un po’ da tutti, è evidentemente transessuale, c’è anche una sensibilità gender correct. E poi, ragazzi, c’è una fotografia (di Artur Tort: il merito va riconosciuto) da paura. Ogni immagine (lavoratissima digitalmente) sembra una cartolina – pardon, una videoinstallazione.
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