12 aprile 2004, pomeriggio. Mentre scrive per il «Corriere della Sera» in ricordo di Cesare Garboli, scomparso il giorno prima, Giovanni Raboni ha un malore. Viene ricoverato, resta in coma per settimane, e il 16 settembre muore. È una di quelle coincidenze da cui avrebbe forse tratto conclusioni sorprendenti Leonardo Sciascia, che né Garboli né Raboni amavano; come del resto non si amavano l’un l’altro. Eppure, per usare una parola cara a entrambi, insieme all’ostilità avvertivano con forza il reciproco potere di seduzione. 

Questo aspetto emerge negli anni Ottanta. Sono, per tutti e due, anni di svolta – una svolta che arriva alle soglie dell’età senile. Rifugiatosi a Vado di Camaiore, Garboli dà alla luce le ricerche su Pascoli, riunisce gli Scritti servili, e dopo una grigia stagione di oscuramento, dominata dai tartufi teorico-ideologici, comincia a essere considerato un maestro. Quanto a Raboni,

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