L’ultima volta che sono stato in una FNAC, a Nizza, sono rimasto sconfortato dal fatto che sugli scaffali non c’era più traccia degli scrittori su cui sono cresciuto: su tutti, Bataille e Klossowski (ma anche Blanchot, Leiris, Michaux…). In una libreria più tradizionale, per altro, li ho ritrovati tutti; e di Klossowski, a più di vent’anni dalla morte, continuano a uscire inediti e testi dimenticati. Bataille e Klossowski sono sempre andati in coppia e sono sempre presenti sul mercato editoriale italiano: il secondo anche grazie a nuove traduzioni, soprattutto per Adelphi (tra cui Il bagno di Diana e Il Bafometto) e per Mimesis (tra cui quel saggio di œconomia sexualis – cito il curatore Aldo Marroni – che è La moneta vivente). 

La storia della fortuna editoriale italiana del fratello di Balthus è piuttosto lunga: inizia negli anni Sessanta, quando la Sugar traduce la trilogia delle Leggi dell’ospitalità – che, se vogliamo, è una specie di versione occidentale e filosofica della Chiave di Tanizaki –, Il Bafometto e i saggi di Sade, prossimo mio. La storia del piccolo editore libertino milanese che sfidava le censure democristiane (vedi Il ragazzo di fuoco di Pier Giuseppe Murgia) e il bacchettonismo crociano-marxista è ancora da scrivere. Certo è che, accanto a L’erotismo di Bataille, i libri di Klossowski erano una presenza quasi obbligata. Nel fervore della scoperta italiana di Sade negli anni Sessanta (anche se i libri più espliciti continuavano a circolare in edizioni semiclandestine), il saggio di Klossowski si affiancò a quelli di Blanchot, De Beauvoir e Barthes, per essere beffardamente citato nei dialoghi di Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pasolini. Dopo il Klossowski erotologo arrivò il Klossowski filosofo, con la traduzione per Adelphi di Le dame romane (stroncato da Pasolini in cinque righe) e di Nietzsche e il circolo vizioso; evidentemente interessava a Calasso (che nella sua lunga postfazione a Mine-Haha di Wedekind cita La moneta vivente) per qualche oscuro percorso esoterico. Ma la cosa finì lì, fino alla riscoperta nel nuovo millennio.

Klossowski era di statura minuta, fumava accanitamente e, dopo la comprensibile diffidenza iniziale, fu ragionevolmente paziente

Che cosa arrivasse, al comune lettore, di libri obiettivamente difficili come Roberta staseraIl Bafometto, al di là di una generica promessa di proibito, non mi è chiaro; e ancora oggi l’aletta Adelphi del secondo libro punta comicamente su questo aspetto, con risultati che ignoro. Ricordo però, poteva essere il 1981, uno stizzito corsivo anti-Klossowski scritto da Giovanni Arpino sul «Giornale nuovo» (il quotidiano che entrava in casa mia), che probabilmente mi spinse a esplorare precocemente il pianeta K. Dopo La storia dell’occhio di Bataille Roberta stasera: penso sia un percorso fatto da molti. E divenni un suo ingenuo fan a tal punto che, trovandomi a Parigi nel 1983 in gita scolastica autogestita, ed essendomi procurato (da un professore del liceo che frequentavo, liberi di non crederci) l’indirizzo dell’autore della Revoca dell’editto di Nantes (rue Glacière 69), bussai a colpo sicuro all’unica porta plausibilmente klossowskiana di un anonimo condominio medio-borghese (non c’era nome, ma uno stemma nobiliare) e mi trovai di fronte a Roberte, cioè alla moglie Denise, manco a farlo apposta in una conturbante veste da camera. Questa convinse un recalcitrante Pierre, che sosteneva di non parlare l’inglese con cui cercavo di comunicare, a condurre il giovane scocciatore nel suo vicino studio a vedere i suoi disegni. Klossowski era di statura minuta, fumava accanitamente e, dopo la comprensibile diffidenza iniziale, fu ragionevolmente paziente. Ricordo anche una copia di «L’Humanité» su un tavolo e un cenno alle sue preoccupazioni per la salute del proprio figlio. Nulla di sulfureo, malgrado il soggetto delle sue opere.

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