Nella prima puntata di Una squadra, la bellissima docu-serie di Domenico Procacci sui “Quattro moschettieri” del tennis italiano che conquistarono la Coppa Davis del 1976, Adriano Panatta racconta come quell’anno nella finale di doppio della Zona B europea, al fianco dell’inseparabile Paolo Bertolucci, rovinò la partita «come un cretino» (parole sue). Di fronte ai due italiani c’erano i fratelli britannici David e John Lloyd. Per il primo, in particolare, il tennista romano nutriva un’antipatia profonda: nella serie lo definisce «arrogante», oltre che mal vestito e «un po’ brutto». Di David Lloyd si sapeva che aveva solo il dritto, «era facile giocarci contro», ricorda Bertolucci; ma Panatta no, si era fissato: «Volevo fargli passare il vizio» ricorda davanti alla telecamera. E così passò tutta la finale a servire l’avversario sul suo colpo migliore, facendo fare punti alla Gran Bretagna. L’Italia alla fine perse, tra l’incredulità del pubblico e del povero Bertolucci: «Adriano, ma non possiamo farglielo passare un’altra volta?».

L’aneddoto, pur risalente a cinquant’anni fa, e a un’epoca in cui nessun nome del Grande Slam poteva dire di essere su Instagram, ricorda certi cortocircuiti contemporanei in azione nelle nostre vite iperconnesse: quante volte, alla lettura di una notizia, ci affrettiamo a prendercela con un nemico talvolta più immaginario che reale, rendendo la grande partita di Coppa Davis della realtà niente altro che la nostra personale faida col David Lloyd di turno?

Se dei rapper vengono formalmente indagati per istigazione a delinquere per i testi delle loro canzoni, come accaduto l’anno scorso al gruppo P38-La Gang, l’occasione diventa ghiotta per lanciare una frecciatina a quelli che si lamentano della cancel culture; se le notizie internazionali fanno comodo a una narrazione senza spigoli, che sia atlantista, antiamericanista o d’altro genere, le usiamo come pretesto per approntare concioni manichee; e se il generale e bestsellerista Roberto Vannacci diventa capo di Stato Maggiore del Comando delle forze operative terrestri dell’esercito, perché non approfittarne per mandare un abbraccio virtuale a chi è convinto che «non si può più dire niente»?

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