Parla a voce bassa, Nan, della propria vita: la sorella Barbara suicida a diciott’anni, quando lei ne ha undici; l’uscita dalla casa dei genitori; l’inizio, salvifico, con la macchina fotografica; le drag queen e tutti gli altri amici della sua leggendaria famiglia d’elezione; gli amori e le perdite; le dipendenze e i legami. Si fa quasi un sussurro quando un “vero ricordo” affiora d’improvviso alla memoria.

Ma quella stessa voce sa anche levarsi, scandire slogan, rivendicare. Perché Nan Goldin non è soltanto una delle più incisive fotografe internazionali, è anche un’attivista.

Sembrano due anime, sono inscindibili: in Goldin, arte e azione sono due metà che formano – da sempre, si sarebbe tentati di dire – un tutt’uno. Per controbattere alla “negazione” della verità. Per demolire lo “stigma” della vergogna che colpisce chi non si conforma. Semplicemente, per trovare uno spazio d’esistenza.

A ricomporre ora tutto questo è il coinvolgente documentario All the Beauty and the Bloodshed (Tutta la bellezza e il dolore) di Laura Poitras, vincitore del Leone d’Oro al Festival del Cinema di Venezia 2022 e candidato all’Oscar.

E non a caso, l’intero film è costruito sulla dualità. Due sono innanzitutto le linee narrative, che procedono per sequenze alternate. Da un lato, c’è la confessione-testimonianza: l’autobiografia di una donna e della sua fotografia, che si allarga a biografia di un’epoca. Dall’altro, l’inchiesta giornalistica, centrata sulle azioni dirette di Goldin e del suo gruppo P.A.I.N. (Prescription Addiction Intervention Now) contro la famiglia Sackler, collezionisti e filantropi del mondo dell’arte, proprietari del colosso farmaceutico Purdue Pharma, produttore dell’OxyContin – un antidolorifico ad alto tasso di dipendenza, alla base della opioid crisis che in America ha causato 500.000 morti.

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